L’addio a Penati «Il Pd fu ingeneroso»
Ex presidente della Provincia
Il minuto di silenzio in Consiglio comunale e i tanti messaggi di cordoglio di amici e avversari. È il saluto della città a Filippo Penati, l’ex presidente della Provincia di Milano, scomparso mercoledì sera dopo che i medici gli avevano riscontrato un tumore l’anno scorso. «Per me è stato solo un amico a cui ho voluto bene e che ho accompagnato nell’ultima, dolorosa, fase della sua non banale vita» ha detto Sala. «Ha sempre valorizzato le istituzioni a ogni livello» dice il governatore Fontana. Pietro Bussolati, del Pd milanese, riconosce gli errori: «Con lui il partito è stato ingeneroso».
«Con lui il partito è stato ingeneroso». Pietro Bussolati, ex segretario cittadino e ora consigliere regionale, è uno di quelli che non rinnega di aver considerato Filippo Penati un riferimento politico, «anche se poi nel corso degli anni è capitato di litigare e di dividersi».
Chi è stato Penati per il Pd milanese?
«Racconto solo un episodio. Quando io avevo 22 anni, lui vinse contro la Colli in provincia: a noi giovani militanti non sembrava vero di vincere nella terra di Berlusconi, Bossi, La Russa. Lui insomma fu quello che ruppe la maledizione e ricordo che noi ragazzi andammo in giro a fare i caroselli in macchina e in motorino come per una vittoria ai Mondiali. Oggi è cambiato tutto, ma è anche per merito suo che è stata possibile una sinistra di governo a Milano».
Qualcuno di voi lo definì
Martina Autorevole e mai scontato Ingiusti i voltafaccia nel partito
però un leghista di sinistra.
«Sosteneva che le periferie non dovevano essere abbandonate a se stesse. Predicava umanità, ma anche fermezza di fronte all’illegalità. Una cultura propria di una sinistra riformista».
Fu molto vicino all’esperienza del circolo O2Pd, da cui anche lei proviene.
«Era attento alle innovazioni politiche ed era colpito da quel circolo che precorreva i tempi. Da lì veniamo io, l’assessore Maran, Lia Quartapelle. Eravamo su posizioni riformiste, ma lui apprezzava soprattutto il dinamismo e la capacità di mobilitazione di quei ragazzi. Ebbe il fiuto di saper valorizzare quella esperienza».
Cos’era il sistema Sesto? «Le inchieste alla fine hanno dimostrato che non esisteva un sistema Sesto».
Il partito lo cancellò persino dall’elenco degli iscritti.
«Un’esperienza che ci deve servire da lezione. I dirigenti politici si giudicano solo alla fine dell’iter giudiziario e non si lasciano soli nel momento della difficoltà. Sì, con lui il partito è stato ingeneroso. Mi faccia aggiungere che sono felice che, da segretario metropolitano, io abbia avuto la possibilità di riconsegnargli la tessera del Pd e di invitarlo nuovamente alle feste dell’Unità».
Che uomo era Filippo Penati?
«Era un uomo che odiava le ipocrisie, intanto. Ed era uno che non rinunciava mai a una certa dose d’ironia. Anche quando è capitato che litigassimo, come in occasione delle ultime elezioni a Sesto, non abbandonava un registro di leggerezza. E infine vorrei ricordare proprio l’amore per Sesto: quando parlava della sua città gli brillavano gli occhi. La stessa passione che metteva nella politica l’ha messa alla fine nel Geas, la squadra femminile di basket di Sesto trascinando tutti a contribuire e sostenerla». Quando vi siete sentiti l’ultima volta?
«Mi ha chiamato poche settimane fa per ringraziarmi di essere intervenuto sulla detenzione prolungata di Pietro Tatarella: ho capito che la questione lo toccava nel profondo, non avrebbe mai smesso di lottare di un centimetro per il garantismo».