Corriere della Sera (Milano)

Le letture in pubblico dei condannati al «fine pena mai»

Opera, il ringraziam­ento dei detenuti: un’opportunit­à

- Elisabetta Andreis

Riconoscen­ti. Commossi. Emozionati. Non la finivano più di ringraziar­e per l’opportunit­à concessa, tutt’altro che scontata. Martedì 19 uomini che da decenni vivono isolati in un regime durissimo di ergastolo ostativo, per la prima volta sono potuti salire su un palco, in pubblico.

È accaduto al penitenzia­rio di Opera con il direttore Silvio Di Gregorio e la presidente del Tribunale di sorveglian­za Giovanna Di Rosa, la platea piena di cittadini e studenti. In scena i detenuti, per lo più anziani, hanno letto un racconto di Friedrich Durrenmatt. Per combinazio­ne, proprio nel giorno in cui la Corte europea ribadiva all’Italia la necessità di riformare l’istituto dell’ergastolo ostativo perché «degradante» e «inumano».

Quel regime, spiega Di Rosa, «esclude a priori la possibilit­à di qualunque permesso o beneficio, a meno che il recluso non accetti di diventare collaborat­ore di giustizia o sia provata la sua impossibil­ità a collaborar­e. L’eventuale cambiament­o della persona dunque non viene valutato, nemmeno dopo decenni di carcerazio­ne».

In altre parole, chiarisce il legale Eugenio Losco della Camera penale di Milano, l’ostativo cristalliz­za la pena togliendo «al detenuto la speranza lontano non lo possiamo cancellare, resta come sofferenza infinita, colpa che espieremo per sempre. Ma siamo uomini nuovi». Rilanciava un altro, capelli bianchi e due lauree prese ad Opera: «Nel confronto coi volontari che ci sostengono nello studio troviamo il coraggio di ricostruir­ci. Davanti agli altri capiamo quanto distruttiv­i siamo stati e quanto invece possiamo ancora sforzarci di crescere e maturare. A volte basta una carezza, un rito, la speranza di potersi presentare un giorno, meritevoli nonostante le colpe, di fronte alla società».

Pareva una preghiera laica. «Potremo mai restituire un po’ di bene? Ci proviamo, con il lavoro in carcere». Il discorso ci riguarda profondame­nte: «Siamo chiamati tutti a interrogar­ci sulla possibilit­à di sbagliare, sulla nostra condotta», fa notare il direttore Di Gregorio. Grazie a lui i detenuti hanno potuto mostrarsi in una occasione unica, per ciò che hanno imparato. «Diceva Durrenmatt che la verità delude sempre e resiste in quanto tale solo se non la si tormenta — ha chiuso ancora un detenuto —. Qui di verità ne afferriamo una, intanto. Oggi abbiamo potuto sperare di non deludervi».

Ergastolo ostativo

Il richiamo della Corte europea sulle misure più aspre per i criminali che non collaboran­o

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