Dipinta da Leonardo? Torna Madonna Litta e il dibattito è riaperto
Arriva dall’Ermitage al Poldi Pezzoli la «Madonna Litta», nata a Milano nella bottega da Vinci: ipotesi e confronti
La «Madonna Litta» dal 7 novembre torna a Milano, al Poldi Pezzoli. Nata nella bottega di Leonardo, l’opera milanese è appartenuta ai Belgiojoso, poi ai duca Litta finché, nel 1865, Antonio Litta Visconti Arese la cedette allo zar Alessandro II. Da allora si è mossa sei volte dall’Ermitage di San Pietroburgo. E si riaccende il dibattito: quante pennellate sono di Leonardo?
Torna a Milano, dal 7 novembre, la «Madonna Litta» attribuita a Leonardo. L’opera sarà esposta al Poldi Pezzoli con altre diciannove del medesimo soggetto per un confronto aperto con i leonardeschi e il leonardismo lombardo. Curata da Pietro Marani e Andrea di Lorenzo, con allestimento dello studio Migliore+Servetto e catalogo Skira, la mostra riporta a casa, per la chiusura delle celebrazioni leonardesche, una Madonna nata in Corte vecchia, con affinità stilistiche con la «Vergine delle rocce» seconda versione. Un’opera milanese, appartenuta ai Belgiojoso, poi ai duca Litta finché, nel 1865, Antonio Litta Visconti Arese la cedette allo zar Alessandro II. Da allora si è mossa sei volte dall’Ermitage e una di queste per venire a Milano, trent’anni fa, a Palazzo Reale, più o meno dov’era nata.
L’esposizione, organizzata dal Poldi Pezzoli con il Comune, la Regione e la fondazione Bracco, che ha consentito di sviluppare studi scientifici sull’opera, la mostrerà insieme a disegni e dipinti provenienti da collezioni di tutto il mondo eseguiti da Leonardo e allievi: da Giovanni Antonio Boltraffio a Marco d’Oggiono, dal Maestro della Pala Sforzesca a Francesco Napoletano.
Siamo così al punto nodale — un nodo leonardesco, un po’ inscindibile — del senso scientifico della mostra (la piacevolezza estetica è apriori): quante pennellate ci sono di Leonardo nella «Madonna Litta»? Ha senso chiederselo, per una lavoro nato, come gli altri, a bottega? Esiste una risposta univoca a questo interrogativo? Univoca è poco probabile. Carlo Pedretti sosteneva che proprio nella «Madonna Litta» si vedessero le prime tracce del leonardismo. Marani, riprendendo le affermazioni di uno degli ambasciatori estensi che Isabella mandava in giro per le corti (grazie ai quali conosciamo il Rinascimento) ricorda le possibili genesi di opere come questa: esisteva un «prototipo» riconducibile al maestro (in questo caso la suddetta tempera su tavola di 43 x 33 cm) del quale, al contempo, gli allievi traevano copie («retracti», scrive l’ambasciatore) sulle quali il maestro «metteva mano». Per queste ragioni compositive abbiamo una ventina di copie della «Vergine delle rocce» varie «Gioconde» vestite e nude e molto altro su cui sbizzarrirci (il «Salvator Mundi», per esempio). Se non esistessero il mito idealistico dell’autografia, i conoscitori e il mercato ci libereremmo da questa ossessione.
Lo scambio con la Russia, assicura la direttrice del Poldi Pezzoli, Annalisa Zanni, è andato bene (mica come con il Louvre!), anche perché il museo milanese ha prima prestato a San Pietroburgo il «San Nicola da Tolentino» di Piero della Francesca. A gennaio si svolgerà un convegno su questa «Madonna Litta» e saranno presentate le indagini scientifiche (radiografie, infrarossi, UV…), senza le quali pare che ormai non si possa più fare esposizioni (se non «immersive»!). Certo, le indagini appaiono più «scientifiche» dell’occhio del conoscitore, ma giungono a stabilire compatibilità, a smascherare i falsi... e non a fare attribuzioni. Servirebbe sempre un documento, se ci fosse…