DISCRIMINAZIONE SUL LAVORO ABBATTERE I MURI PER LE DONNE
Le scrivo perché credo sia utile conoscere il comportamento degli ausiliari della sosta. I fatti: tre giorni fa sono stata multata, con due punti scalati dalla patente, per avere posteggiato la mia vettura in prossimità della fermata di un mezzo Atm. Comunque, in questa fermata il mezzo Atm non si avvicina mai al marciapiede e la mia auto non impediva l’accesso o la discesa dall’autobus. Ho immediatamente pagato la multa per poter usufruire dei vantaggi di legge. Poi, rientrando a casa, ho visto due ausiliarie che multavano macchine in divieto ma non quella posteggiata dove mi era stata data la multa. Ho chiesto la ragione e la loro risposta mi ha lasciato interdetta: «Per noi quella macchina, pur in divieto, non disturbava la fermata e quindi abbiamo lasciato perdere». Spiegato che per la stessa posizione avevo appena pagato una multa con detrazione dei punti, mi hanno risposto che esiste una discrezionalità nel dare le multe e che per quella da me pagata non avrebbero dovuto togliermi i punti. Considerazioni? Caro Schiavi, leggendo la storia di quella giovane mamma discriminata dal datore di lavoro dopo la seconda maternità vorrei portare la mia testimonianza. Alle soglie del 2000, sostenni un colloquio presso un ufficio che si occupava di banche e finanza. Il colloquio andò bene ma mi fu rivolta un’ultima decisiva domanda: se avessi risposto sì la mia candidatura non avrebbe avuto seguito. Mi fu chiesto se in futuro avrei voluto avere figli. Stessa scena presso l’ufficio legale di una grande istituzione milanese: in questo caso la fatidica domanda fu posta da una donna! Ero dipendente di una banca, e anche lì la logica era che, a dispetto del titolo di studio e del percorso professionale, le madri dovessero lavorare al call-center soprattutto se chiedevano il part-time. Da figlia di una generazione che aveva attraversato l’esperienza del femminismo, educata alla parità, è stato come andare a sbattere contro un muro.
Cara Maria, bisogna abbatterlo questo muro, insensato e discriminatorio. E far conoscere all’opinione pubblica le aziende dove si fanno domande del genere nei colloqui di lavoro, perché se questo è lo stile
Autobus affollati
Linea 94, molto frequentata. Salgo sul davanti. Macchinetta obliteratrice «solo tessere». L’obliteratrice per i biglietti è sull’altro estremo del bus, quindi per comportarmi onestamente devo percorrere sballottato buona parte del lungo bus (operazione pressoché meglio girarci alla larga. Serve però una spinta forte, dall’alto, per creare una diversa mentalità nelle aziende inchiodate ai pregiudizi contro le donne che giustamente non vogliono rinunciare alla maternità. Intendo dire una politica che premia chi aiuta le future mamme e punisce chi le discrimina. Direttori e responsabili delle risorse umane poi, quando fanno domande del genere in un Paese dove non si fanno più figli sarebbero da mettere alla porta: creano uno squilibrio sociale.
I casi felici di aziende dove la maternità non è ostacolata ma incoraggiata, dimostrano che lì si può lavorare e rendere al meglio. Roberta Zivolo per esempio, titolare di Progetto Duemila, azienda milanese di outsourcing, ha fatto della maternità un motivo di successo imprenditoriale: le sue dipendenti sono quasi tutte donne e mamme, chi ha ruoli manageriali non rinuncia a seguire i figli a casa e a scuola, si assenta quando serve e al lavoro dà il massimo «perché è felice», spiega. Anche per questo, la rivista Forbes l’ha inserita tra le cento donne leader in Italia. Nonostante gli anni del femminismo la strada della parità è ancora lunga: troppi comportamenti vessatori, differenze salariali, mobbing e altro condizionano il lavoro femminile. Al suo, cara Maria, aggiungiamo il nostro «basta». impossibile quando il bus è affollato). Vien voglia (o si è costretti) di non pagare il biglietto, anche perché le probabilità di incappare in un controllore sono minime. Non so come sia sugli altri mezzi. Comunque incoraggerebbe a pagare (almeno non si avrebbero scuse) un obliteratore vicino a ogni entrata.
Ricorsi per le multe Sottopongo una grave mancanza del Comune di Milano che obbliga migliaia di cittadini a spostamenti e costi. Mi chiedo come sia possibile che una città internazionale come la nostra non abbia ancora attivato la possibilità di presentare ricorso delle multe tramite una semplice mail pec (posta certificata). Lo fa la maggior parte dei Comuni italiani. A Milano il cittadino è ancora obbligato a recarsi fisicamente all’ufficio postale per spedire una raccomandata (con sensibile costo) o presentarsi alla sede della Polizia locale. Riusciamo ad aggiornarci anche in questo prima o poi?
Più obliteratrici
Perché non con la pec?