Corriere della Sera (Milano)

Discrimina­ta dai colleghi perché gay

Ospedale Manzoni, una dipendente denuncia: mi hanno isolata

- di Barbara Gerosa

«Fuori da qua lesbica!». Lo hanno scritto con il pennarello blu sul suo armadietto negli spogliatoi dell’ospedale Manzoni di Lecco. È solo l’ultimo di una serie di atti discrimina­tori contro Sabrina Di Biase, 34 anni, dipendente del nosocomio. «Già qualche collega mi aveva fatto capire che non ero la benvenuta, altre si alzavano se provavo a sedermi accanto a loro in mensa, c’è chi mi ha detto che sono malata. Sono stata zitta per più di un anno, adesso dico basta». Sabrina Di Biase ha presentato denuncia alla polizia e si è rivolta al sindacato.

LECCO La scritta con il pennarello blu. «Fuori da qua lesbica!». Il punto esclamativ­o come una pugnalata. Le lettere in corsivo vergate sulla porta bianca del suo armadietto negli spogliatoi dell’ospedale di Lecco. Caratteri cubitali. Perché tutti entrando nella stanza potessero vederla. Perché non ci fossero dubbi sul suo orientamen­to sessuale. Perché fosse chiaro che nessuno in quel luogo voleva avere a che fare con una come lei.

Sabrina Di Biase, 34 anni, lecchese, dipendente del Manzoni, dove lavora da quasi tre anni, non voleva credere ai propri occhi di fronte a quello che lei denuncia solo come l’ennesimo episodio di intolleran­za nei suoi confronti. «Sono rimasta impietrita davanti a quella scritta sul mio armadietto — racconta —. Lo ammetto, ho fatto fatica a trattenere le lacrime. Per due giorni non sono entrata negli spogliatoi. Poi ho deciso di reagire. Ho lasciato la frase sullo sportello. Non sono io a dovermi vergognare, ma chi l’ha scritta. E li è rimasta fino a quando le ragazze della cooperativ­a che si occupa delle pulizie dopo un paio di settimane l’hanno cancellata». Le mani le tremano, la voce è ferma. Sono trascorsi venti giorni da quando Sabrina ha trovato la scritta, la rabbia, lo «Non importa che sia medico, infermiera o donna delle pulizie. Questa cosa non va bene qualsiasi sia il mio incarico, che continuo a svolgere con impegno e regolarità».

Del caso si stanno occupando anche i sindacati. «È un atto esecrabile che va condannato — incalza Massimo Coppia, segretario sanità Uil del Lario —. Stiamo cercando di capire come dare assistenza alla nostra iscritta. Abbiamo interessat­o la consiglier­a di Parità della Provincia di Lecco, i nostri uffici mobbing e stalking e chiederemo anche la collaboraz­ione della direzione generale dell’Asst, che ha dimostrato fin da subito disponibil­ità in questo senso, per iniziare insieme un percorso perché certe cose non accadano più. Non è nemmeno un episodio isolato e per quanto possa sembrare incredibil­e all’ospedale di Merate siamo dovuti intervenir­e per una dipendente insultata da una collega perché meridional­e. Stiamo valutando nuove strategie per la lotta alla discrimina­zione sofferta da chi è più debole nei posti di lavoro».

Della scritta omofoba restano una denuncia alle forza dell’ordine e una fotografia sul telefono cellulare. Sabrina entra nello spogliatoi­o, abbassa gli occhi e si cambia in fretta. Pensa solo a quando stasera tornerà a casa dai suoi bambini. Pensa a quel «si» gridato con forza dalla sua compagna quando le ha chiesto di unirsi al suo percorso di vita. E la rabbia e l’amarezza per un istante sembrano quasi sparire.

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