Ha la partita Iva, licenziata «La scuola la riassuma»
Leggo sul Corriere la lettera di Paola S., cui è stata revocata da un dirigente scolastico l’assunzione per un anno come personale amministrativo supplente perché titolare di partita Iva.
In realtà, ciò che è incompatibile con un rapporto di impiego pubblico a orario pieno, anche se temporaneo, non è il fatto di essere titolare di partita Iva, ma il fatto di svolgere effettivamente un’attività professionale di lavoro autonomo. Le varie burocrazie amministrative solitamente considerano la titolarità di partita Iva incompatibile con l’assunzione in posizione di dipendente pubblico a tempo indeterminato, perché in questo caso effettivamente la partita Iva può servire all’interessato soltanto per svolgere attività di lavoro autonomo che gli sarebbero vietate, in costanza di rapporto di impiego stabile. Ma è molto irragionevole che si applichi la stessa incompatibilità nel caso dell’assunzione a tempo determinato, costringendo così la persona interessata alla pratica costosa della chiusura della partita Iva all’inizio del rapporto e riapertura alla fine, magari dopo qualche settimana o qualche mese. Osservo, tra l’altro, che applicare questa incompatibilità alla persona assunta a termine è (se mi è consentito dirlo) doppiamente stupido. Perché, per un verso, come ho appena detto, quel che conta è l’incompatibilità del rapporto di lavoro pubblico a tempo pieno con un’attività professionale effettivamente svolta e non soltanto potenziale; per altro verso, è facilissimo a chiunque sia assunto per un tempo determinato svolgere cionondimeno l’attività professionale vietata facendosela poi retribuire — se proprio non può incassare in nero, essendo costretto a emettere la fattura — dopo la cessazione del rapporto di impiego a termine. Questa gherminella si attua molto facilmente anche chiudendo la partita Iva prima dell’assunzione e riaprendola subito dopo la cessazione del rapporto.