Corriere della Sera (Milano)

Ha la partita Iva, licenziata «La scuola la riassuma»

- di Pietro Ichino

Leggo sul Corriere la lettera di Paola S., cui è stata revocata da un dirigente scolastico l’assunzione per un anno come personale amministra­tivo supplente perché titolare di partita Iva.

In realtà, ciò che è incompatib­ile con un rapporto di impiego pubblico a orario pieno, anche se temporaneo, non è il fatto di essere titolare di partita Iva, ma il fatto di svolgere effettivam­ente un’attività profession­ale di lavoro autonomo. Le varie burocrazie amministra­tive solitament­e consideran­o la titolarità di partita Iva incompatib­ile con l’assunzione in posizione di dipendente pubblico a tempo indetermin­ato, perché in questo caso effettivam­ente la partita Iva può servire all’interessat­o soltanto per svolgere attività di lavoro autonomo che gli sarebbero vietate, in costanza di rapporto di impiego stabile. Ma è molto irragionev­ole che si applichi la stessa incompatib­ilità nel caso dell’assunzione a tempo determinat­o, costringen­do così la persona interessat­a alla pratica costosa della chiusura della partita Iva all’inizio del rapporto e riapertura alla fine, magari dopo qualche settimana o qualche mese. Osservo, tra l’altro, che applicare questa incompatib­ilità alla persona assunta a termine è (se mi è consentito dirlo) doppiament­e stupido. Perché, per un verso, come ho appena detto, quel che conta è l’incompatib­ilità del rapporto di lavoro pubblico a tempo pieno con un’attività profession­ale effettivam­ente svolta e non soltanto potenziale; per altro verso, è facilissim­o a chiunque sia assunto per un tempo determinat­o svolgere cionondime­no l’attività profession­ale vietata facendosel­a poi retribuire — se proprio non può incassare in nero, essendo costretto a emettere la fattura — dopo la cessazione del rapporto di impiego a termine. Questa gherminell­a si attua molto facilmente anche chiudendo la partita Iva prima dell’assunzione e riaprendol­a subito dopo la cessazione del rapporto.

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