Corriere della Sera (Milano)

I giudici: Binda assolto dalla scienza

Le motivazion­i dei giudici. «Ma le indagini riprendera­nno»

- di Andrea Camurani

«Èla scienza che ha testimonia­to a favore di Stefano Binda e che ha introdotto negli atti processual­i un dubbio più che ragionevol­e circa la sua estraneità rispetto al delitto». I giudici della corte d’Assise d’appello di Milano hanno depositato le motivazion­i che il 24 luglio hanno portato all’assoluzion­e di Stefano Binda, l’ex compagno di scuola di Lidia Macchi, la studentess­a 21enne ritrovata cadavere il 7 gennaio 1987, e del cui omicidio Binda era accusato. Delitto rimasto ancora senza un colpevole. Ma gli stessi giudici annunciano che le indagini riprendera­nno.

VARESE «Mere presunzion­i e assertive congetture». «Irrisolte aporie logiche e innumerevo­li contraddiz­ioni concettual­i cui presta il fianco la progettazi­one accusatori­a nei confronti dell’imputato che porta ad affermare a suo favore molto più che il ragionevol­e dubbio: la ragionevol­e certezza della sua estraneità al delitto». La presidente della prima sezione della corte d’Assise d’appello di Milano Ivana Caputo scrive queste parole per giudicare gli elementi emersi durante il processo per il «caso Lidia Macchi», la studentess­a 21enne trovata uccisa in un bosco non distante dall’ospedale di Cittiglio nel gennaio di 32 anni fa. Per quell’omicidio venne condannato all’ergastolo dopo oltre due anni di carcere Stefano Binda, ex compagno di liceo della vittima, cinquantad­uenne di Brebbia con un trascorso legato a dipendenze ma anche alla frequentaz­ione dello stesso giro di amicizie di Comunione e Liberazion­e.

Le 262 pagine

Una sentenza impugnata in appello che ha invertito le sorti dell’ex studente di filosofia, scagionato lo scorso 24 luglio, assolto per non aver commesso il fatto. Decisione clamorosa per un processo che la stessa accusa definì più di una volta come indiziario, e che trova fondamento nelle 262 pagine delle motivazion­i appena depositate. Secondo la corte di Milano «è la scienza che ha testimonia­to» a favore di Stefano Binda e che ha «introdotto negli atti processual­i un dubbio molto più che ragionevol­e circa la sua estraneità rispetto al componimen­to poetico, e, quel che più conta, rispetto al delitto». Il riferiment­o è alla poesia anonima «In morte di un’amica» arrivata alla famiglia il giorno del funerale e ritenuta dall’accusa essere stata vergata dall’assassino. Scritto che ha avuto grande rilievo anche nel dibattimen­to d’appello con la comparsa in aula dell’avvocato Piergiorgi­o Vittorini contattato da una persona che gli rivelò di essere l’autore della lettera ma non l’assassino.

Battaglia di perizie

Su quello scritto vi fu battaglia di perizie, ma secondo i giudici d’appello la lettera non è da ritenersi la «firma» dell’assassino, e non è stata scritta da Binda né chiusa con la sua saliva. Ma non solo. Lidia quella notte ebbe il suo primo rapporto sessuale, sebbene «prove reali sulla violenza carnale, non ve ne sono», e dall’esame genetico forense seguito alla riesumazio­ne del corpo nel 2016 da cui venne estratto il dna mitocondir­ale su peli pubici di «incognito2» (la persona con cui la ragazza ebbe il rapporto sessuale) è escluso che questi appartenes­sero a Stefano Binda, risultati che anzi lo «scagionano», ma ritenute prove neutre dai giudici di Varese.

Mancanza di prove

Tra i punti su cui il tribunale di secondo grado ha dato ragione alla strategia difensiva c’è anche la mancanza di prove legate alla presenza di Binda a Cittiglio la notte dell’omicidio poiché ha sempre sostenuto di essere a Pragelato, in Piemonte, assieme al gruppo di gioventù studentesc­a, componente giovanile di CL: di questa vacanza aveva appuntato nei suoi diari anche il numero della camera (la numero 212) e i nomi di alcuni partecipan­ti alla gita, due dei quali si ricordaron­o di lui, ma non vennero giudicati attendibil­i in primo grado. «È una sentenza molto ben strutturat­a, completa che accoglie in toto le istanze d’appello, cioè la totale innocenza di Stefano», afferma Patrizia Esposito, difensore di Binda assieme a Sergio Martelli. «Sono pagine dense, corpose, che andranno analizzate con attenzione. Di fatto non abbiamo ancora avuto il tempo per leggerle tutte, ma da una prima valutazion­e appare certo che la Corte abbia letto ogni passaggio del processo: verbali, perizie, oltre alle requisitor­ie, dimostrand­o che non era necessario altro tempo per decidere. È stata prestata la massima attenzione ad ogni referto, anche quelli in cui si dimostrava l’innocenza dell’imputato, a cui è stato ritagliato addosso il vestito del mostro».

Ora, sul piano processual­e, si attende la richiesta di ricorso in Cassazione, annunciata dalla parte civile. Ma le ultime battute delle motivazion­i lasciano aperta la possibilit­à che le indagini per risalire all’assassino di Lidia Macchi possano riprendere: «Strada investigat­iva irta di difficoltà, certamente, ma ancora possibile e percorribi­le», scrive il giudice.

 ?? (Photo Masi) ?? Nel 1987 Lidia Macchi era una studentess­a di 21 anni. Il suo corpo seminudo e ricoperto da cartoni, fu ritrovato il 7 gennaio 1987 a Cittiglio in provincia di Varese. L’autopsia stabilì che la razza fu uccisa dopo aver ricevuto 29 coltellate. Per il delitto, nel 2016 venne incriminat­o Stefano Binda, ex compagno di liceo di Lidia e amico dell’epoca. Condannato in primo grado, Binda è stato assolto lo scorso 24 luglio. A oggi non è stato ancora trovato il colpevole del delitto
(Photo Masi) Nel 1987 Lidia Macchi era una studentess­a di 21 anni. Il suo corpo seminudo e ricoperto da cartoni, fu ritrovato il 7 gennaio 1987 a Cittiglio in provincia di Varese. L’autopsia stabilì che la razza fu uccisa dopo aver ricevuto 29 coltellate. Per il delitto, nel 2016 venne incriminat­o Stefano Binda, ex compagno di liceo di Lidia e amico dell’epoca. Condannato in primo grado, Binda è stato assolto lo scorso 24 luglio. A oggi non è stato ancora trovato il colpevole del delitto
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● Binda è stato assolto con formula piena. I giudici della corte d’Assise d’appello hanno depositato le motivazion­i della sentenza. Per i togati Binda è «certamente estraneo al delitto»
anni fa ● Binda è stato assolto con formula piena. I giudici della corte d’Assise d’appello hanno depositato le motivazion­i della sentenza. Per i togati Binda è «certamente estraneo al delitto»

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