A Louis serve una comunità non il carcere
Louis è un adolescente originario dello Zambia, arrivato in Italia dalla Libia con il barcone. Sul suo corpo ci sono tutti i segni delle torture, delle violenze. Louis vive ancora l’incubo di essere stato venduto e comprato come un animale. Si trova in un grande ospedale pubblico di Milano nel reparto di psichiatria. Il problema di bambini e di minori con problemi psichiatrici diventa sempre più importante in Lombardia, decisamente in aumento. Le comunità educative messe alla prova non risultano adatte perché disturbi di questo genere hanno bisogno di competenze e di operatori specializzati.
Louis è un adolescente dello Zambia arrivato in Italia dalla Libia con il barcone. Sul suo corpo ci sono tutti i segni delle torture, delle violenze, le cicatrici di ferite provocate per prepotenza cattiva. Vive ancora l’incubo di essere stato venduto e comprato come un animale. Anche la sua mente è ferita, ha tanta paura, è triste fino alla disperazione, alla disperata ricerca di un soffio di futuro, di una persona che gli sia amica.
Si trova in un grande ospedale pubblico di Milano nel reparto psichiatria, perché nella sua disperazione ha avuto comportamenti violenti su di sé e sulle cose.
È uno dei tanti minori con disturbi psichiatrici che incorrono nei provvedimenti di carattere penale, anche per reati di modesta gravità, per i quali il ricovero e la cura si chiama «carcere». Ed è sbagliato e ingiusto. Il problema di bambini e di minori con problemi psichiatrici diventa sempre più importante in Lombardia, decisamente in aumento. Le comunità educative messe alla prova non risultano adatte perché disturbi di questo genere hanno bisogno di competenze e di operatori specializzati. Esistono in Lombardia alcune ottime comunità psichiatriche, ma sono strutturate per adulti, non adatte alla cura degli adolescenti. Però a Milano ci sono medici con una straordinaria sensibilità umana. Il primario dell’ospedale dove si trova Louis me lo ha decisamente confermato: «Io non dimetto questo bambino per farlo andare in carcere, ha già sofferto troppo, ha sul su corpo il segno delle violenze e nella sua mente la paura degli uomini. Dovete trovare, dobbiamo trovare insieme una comunità che lo accolga e lo curi». Anche per un medico non deve essere semplice prolungare una degenza. Io ho visto e voglio raccontare la sensibilità, la scelta e l’impegno generoso di cura di questi medici di ospedale, e la compassione per un bambino che ha già patito troppo. L’assessore alla Sanità delle Lombardia Giulio Gallera in un incontro informale mi ha detto sorridendo: «Trovami due o tre neuropsichiatri infantili e apriamo la comunità per adolescenti psichiatrici». Caro Giulio, fra qualche giorno ti presento uno o due neuropsichiatri infantili. Detto fatto.