Canzoni per la precarietà
Dutch Nazari chiude il tour ai Magazzini
Un ultimo concerto in una location importante prima tornare in studio per il disco nuovo: Dutch Nazari chiude domani ai Magazzini Generali un tour di oltre 70 date a base di un «cantautorap» su beat elettronici che a fine 2018 è confluito nell’album «Ce lo chiede l’Europa». Ora si guarda avanti: quest’estate il 30enne ha pubblicato i nuovi singoli «Di me i baristi», «Bravi tutti», «Cambio di stagione». «Canzoni nate mentre ero in tour», dice lui, che in questi brani non si esime dall’esprimere giudizi anche duri sulla realtà, sfiorando quell’impegno sociale snobbato da tanti colleghi della sua generazione. «A me sembra ovvio dire ciò che penso di quel che mi accade intorno», dice. «Chi afferma che i musicisti devono pensare alla musica e lasciare la politica a chi la fa di mestiere travisa il significato dei termini “musica” e “politica”». Così in «Cambio di stagione» Edoardo «Duccio» Nazari parla di «gente con la nostalgia di un regime che fu, che sta sempre in tv ed ha sempre di più». Ma già nel 2017 in «Proemio» toccava temi quali la libertà d’espressione e le contraddizioni del presente: «Che Guevara è un logo in un laboratorio tessile dove la paga è di 20 centesimi l’ora senza tredicesime», rappa
Dutch, laureato in Giurisprudenza e fan di Lucio Battisti («Da quando è su Spotify io e i miei amici facciamo a gara a chi sa le sue canzoni meno note»). Fondamentali per il suo percorso sono stati gli incontri con il poeta Alessandro Burbank e il producer Sick et Simpliciter, con cui collabora tuttora. «Ci troviamo nello studio di Undamento, la mia etichetta, come gli altri artisti della stessa, da Frah Quintale a Joan Thiele. In pratica facciamo i turni, siamo come una famiglia». Il rifugio — confida in «Di me i baristi» — sono «i bar di quartiere, dove gli avventori non cambiano mai. Mi siedo lì, ascolto, osservo, entro nelle loro storie. Anche una frase sentita per caso può essere d’ispirazione».