Una Medea senza sfumature
Medea la straniera che per vendicarsi del tradimento del marito Giasone, arrampicatore sociale, con la cenere dei suoi baci sulle labbra e tra i denti la sabbia degli anni passati insieme, semina morte e uccide anche i loro figli e con essi il suo passato, ogni legame, ogni ricordo con chi la costrinse a tradire e poi la tradì. Un personaggio gigantesco che ora il regista Emilio Russo affida a Romina Mondello, in una messinscena curata della tragedia euripidea. I pochi evocativi elementi di scena — una barca, che accoglierà Medea nella fuga, delle casse di legno, una rete da pesca — sono di Dario Gessati (al Teatro Menotti, fino a domenica 27). Ed è proprio la scelta della protagonista a determinare una Medea con un faccia sola che si aggira tra i veli delle parole con melanconia e dolore, rincorrendo gesti magici e rituali. Una consistenza poco densa, poco acuta e inquietante, venata di tristezza. Si perdono i volti forti di questo personaggio, una figura di un’irriducibile alterità, ingannatrice e persuasiva, distruttiva e divina, anche debole, ingiusta, tracotante, disperata. Un personaggio dai volti potenti che esigeva un’interprete più solida. Accanto a lei il Giasone stereotipato di Alessandro Averrone, e poi gli efficaci Patrizia Zanco, la nutrice, e Paolo Cosenza, Creonte.