Uccisa dalla cocaina e lasciata sulle scale
La morte a gennaio, arrestato pusher-amante
Viviane Teixeira De Oliveira aveva 43 anni, tre figlie, un corpo da modella e una vita complicata. Uccisa dalla cocaina, è morta all’interno della casa ma è stata lasciata sulle scale da chi avrebbe dopo l’overdose dovuto chiamare i soccorsi per rianimarla.
Viviane Teixeira De Oliveira aveva 43 anni, tre figlie, un marito, un corpo da modella e una vita dannatamente complicata. Stava attraversando un periodo di depressione e tossicodipendenza. C’era ricaduta, com’era già successo in passato, schiava della cocaina e degli psicofarmaci.
Viviane è morta nel primo pomeriggio di mercoledì 2 gennaio sulle scale di un palazzo Aler in via delle Ginestre 9 a Rozzano. Chi doveva soccorrerla mentre chiedeva aiuto, chiamare un’ambulanza, non l’ha fatto. Anzi, l’ha presa e buttata fuori di casa, abbandonandola sulle scale del primo piano lasciando la porta dell’ascensore aperta per far sì che qualcuno la trovasse. Qualcuno ma non lui. Lui che le aveva venduto la cocaina con la quale Viviane s’era riempita il corpo arrivando alla enorme quantità di 14,66 microgrammi per millilitro di sangue. Laddove per morire ne bastano solo sei.
La storia di Viviane è un racconto dell’orrore che ha come unico comune denominatore la cocaina. Quella che ha ucciso la 43enne brasiliana, quella che dai domiciliari spacciava il suo pusheramante Francesco Scilimati, 34 anni, quella che ruota intorno alle menzogne dei tanti testimoni che in questa storia tutto sapevano ma nulla hanno detto. Scilimati è stato arrestato dai carabinieri di Rozzano con l’accusa di morte come conseguenza di altro reato, abbandono di persone incapaci e spaccio. La compagna e un’amica sono indagate per falsa testimonianza.
Ma sono moltissimi i testimoni che hanno spudoratamente raccontato bugie per coprire quanto era invece noto a tutti nel quartiere. Per mantenere quell’omertà che in pochi, nonostante si parlasse della morte di una donna, hanno saputo vincere. Anche i carabinieri guidati dal luogotenente Massimiliano Filiberti e dal maresciallo Carmelo Sottile, avevano raccolto quelle voci girate subito dopo il ritrovamento della donna morta nel palazzo Aler. Ma come in un romanzo giallo hanno dovuto aprire piccole brecce tra le testimonianze, escogitare trappole e sbugiardare le contraddizioni di chi, a verbale, raccontava mezze verità.
Nelle 38 pagine firmate dal gip Maria Vicidomini c’è la ricostruzione di una morte che poteva essere evitata semplicemente con una telefonata. Il racconto inizia, appunto, alle 14 del 2 gennaio quando la compagna dell’arrestato rientra nel palazzo Aler e trova la vittima sul pianerottolo. Lei chiama il 118, ma davanti ai carabinieri dice di non aver mai visto prima quella donna. Viviane aveva accanto due borse con alcuni vestiti, la borsetta e il cellulare. Addosso abiti che somigliavano a un pigiama. Sul corpo nessun segno di violenza, morte per overdose da cocaina.
Le indagini sono partite proprio dalla droga e dal sospetto che c’entrasse qualcosa con la presenza nel palazzo di
Scilimati, ai domiciliari al quinto piano proprio per spaccio. Da qui sono stati riannodati i fili con la donna che trascorre la notte di Capodanno con un’amica in giro per locali a Milano, poi finisce a Rozzano a casa dello spacciatore-amante (avevano una relazione da due anni) e trascorre un giorno intero pippando cocaina in un festino. Quando si sente male, il 34enne chiama un amico al telefono: «Sta morendo, sta morendo! Cosa devo fare, dimmelo?». L’amico sente la donna che chiede aiuto e consiglia di chiamare il 1118, ma Scilimati non lo fa temendo di essere arrestato. «È morta, è morta», dice poco dopo. Poi abbandona il corpo sulle scale e dà il via alla messinscena.
Lo spacciatore
Il 34enne chiamò un amico al telefono: «Sta morendo! Cosa devo fare, dimmelo»