Corriere della Sera (Milano)

Il Boss e l’amore per il Meazza Appello del promoter Trotta: ora si schierino le star italiane

- Stefano Landi

Un giorno, appena sceso dal palco, Ligabue spiegò che suonare al Meazza è un orgasmo che dura le due ore dello show. Bruce Springstee­n, che di stadi ne ha messi in ginocchio parecchi in tutto il mondo, ha fatto di più. Confessand­o che sarebbe un reato buttarlo giù. «Perché per come è stato costruito è unico, mentre suoni è come se avessi di fronte un muro di umanità e ti torna addosso un entusiasmo enorme. Ogni edificio ha un’anima, una sua vita spirituale». E San Siro, dal vangelo secondo il Boss, ce l’ha. Il suo altolà è la prima voce che si alza nel mondo del rock: «Trovo triste il silenzio degli italiani che qui hanno suonato», dice Claudio Trotta, lo storico promoter che organizzò 6 dei 7 show del Boss a Milano. E per colpa di Bruce e dei suoi 22 minuti di sforamento nel 2012 finì pure a processo (vincendolo) per non aver rispettato il coprifuoco.

Nella sua storia San Siro ha ospitato 130 concerti. Oltre ai 7 di Springstee­n, spiccano i 29 di Vasco. Fare un pantheon significar­e giocare coi sentimenti del persone. Non si può però non citare quel 27 giugno 1980 che Milano era Giamaica ai piedi di Bob Marley. Lo sbarco di David Bowie il 10 giugno 1987 o di Michael Jackson il 18 giugno 1997. La prima volta di una donna (Laura Pausini il 2 giugno 2007), quella dei Coldplay (forse lo show più bello in era moderna) nel luglio di due anni fa o le tante notti con gli U2 a far vibrare le tribune. Quello di Bruce nell’85 a San Siro è uno di quei classici casi di evento che ricorda anche chi non c’era. Entrato nell’immaginari­o collettivo del rock di questo Paese. Per molti era il primo concerto della loro vita. Una specie di rito di iniziazion­e. Che prende fascino da quanto si esce di casa per andare allo stadio e prosegue tornando indietro con le gambe stanche e le orecchie piene. «Un tempio del rock che paragonere­i solo al vecchio Wembley», aggiunge Trotta. Per Springstee­n, la spiegazion­e sta anche nell’architettu­ra dell’emozione. «Quando sei lì sopra senti il pubblico come parte pulsante. Ma ad essere sinceri nei confronti dei tanti che almeno una volta nella vita hanno assistito a un concerto al Meazza ci sono anche criticità. Per esempio ai piani alti dello stadio per parecchi anni l’acustica è stata pessima».

Trotta sta andando a presentare un libro in Sormani. Non casualment­e è un racconto di Daniele Benvenuti sull’impatto degli show di Springstee­n in Italia: «L’autore paragona il concerto di Bruce a una partita di calcio in cui non sai mai cosa può succedere. L’opposto di un film di cui conosci già il finale».

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