Hoffer: torri e copertura nell’immaginario collettivo
L’architetto di Italia 90 «Salviamo il terzo anello: è un simbolo di San Siro»
In una vecchia foto lo si vede attorno a un grande plastico del Meazza insieme a tutto il team della Edilnord Progetti che lavorò a quel progetto ambizioso. Enrico Hoffer, architetto classe 1937, è uno dei papà — insieme al collega Giancarlo Ragazzi e all’ingegnere Leo Finzi — dell’ultima maxi trasformazione della «Scala del calcio». È il 1990 quando il Comune abbandona l’idea di un nuovo stadio per far «crescere» lo storico impianto e prepararlo alle «notti magiche» di Baggio, Schillaci, Bennato e Gianna Nannini. È il progetto del terzo anello, delle grandi torri e dei tralicci rossi a sostenerne la copertura.
Che ne pensa di tutta la discussione che da mesi ruota attorno alla possibile demolizione della sua creatura?
«Avendo contribuito, mi dispiacerebbe. È chiaro che il mio sogno è che rimanga intatto».
Il consiglio comunale ha chiesto di evitarne l’abbattimento. Allo stesso tempo però tutti i progetti spuntati finora, anche quelli che immaginano una «rifunzionalizzazione» dell’impianto di San Siro, prevedono di cancellare le tracce del vostro intervento.
«E non capisco davvero il perché. Non mi è chiaro perché ci sia bisogno di togliere il terzo anello, al di là di quello che si voglia poi fare dello stadio. E credo non sia chiaro anche a tanta gente, perché — va detto — il terzo anello e la copertura che abbiamo ideato fanno parte dell’immagine che è entrata nella mente e nei cuori di tutti. Se si dovesse salvare il Meazza, ripartendo però dal secondo anello, si perderebbe inevitabilmente quel valore affettivo».
La stessa Soprintendenza s’è limitata a «proteggere» in qualche modo l’ampliamento
precedente, quello del 1955.
«Credo che la motivazione principale della Soprintendenza sia legata al tempo trascorso, al fatto che il secondo anello abbia superato i 50 anni, e quindi è più meritevole di attenzione».
Sulle sorti del terzo anello pesa poi il tema delle vibrazioni anomale registrate in un paio d’occasioni e che negli ultimi anni hanno creato un po’ d’allarme.
«Guardi, in quel caso il fenomeno è chiarissimo: se c’è un uso sconsiderato, è una cosa che può succedere, ma non vuol dire che venga giù. Non sono un ingegnere strutturista ma nessuno ha finora sollevato ipotesi di pericolosità della struttura. Anzi, tutte le analisi hanno dato ampie rassicurazioni al riguardo».
Il Meazza di oggi è adatto al calcio moderno?
«Non lo so, davvero. Fra l’altro, dal punto di vista calcistico ammetto la mia ignoranza totale. Non sono un tifoso e non sono in grado di dirle quali siano le esigenze del calcio moderno. Se questa è la motivazione dei piani delle società, avranno le loro ragioni. Però continuo a sperare che venga salvato. E penso che una rifunzionalizzazione sia possibile, non so però se sia fattibile da un punto di vista economico».
L’ipotesi allo studio Se si dovesse tutelare l’impianto, ripartendo però dal secondo anello, si perderebbe inevitabilmente quel valore affettivo