Un Pan’Cot in Galleria
Dopo i lavori di restyling lo storico bar Camparino riapre con nuove sale e piatti firmati Davide Oldani
Ma come si mangia, e come si beve, al Camparino in Galleria, riaperto al pubblico da qualche giorno dopo i lavori di restauro? In nome dei milanesi curiosi, siamo andati a provarlo e a farci raccontare le novità di un luogo che fa parte della storia cittadina fin dal 1915. La logica del Gruppo Campari, proprietario, è la stessa che 104 anni ispirò il fondatore Gaspare Campari: investire sui migliori artigiani ed esaltare dettagli d’epoca Art Nouveau. Il locale si presenta con veste nuova e nuovi spazi, come il seminterrato e la splendente Sala Spiritello, e ha aggiunto l’offerta di cucina al pianterreno, al bar detto «di passo» (non c’era mai stata). La parte innovativa della riapertura è il concetto del «pairing», arte di abbinare una bevanda a un piatto cercando armonia o contrasto sul palato. «Sono orgoglioso di vivere la rinascita di un locale che rimane il simbolo della Galleria e dell’aperitivo milanese», dice Tommaso Cecca, ex Cafè Trussardi, ora responsabile del Camparino in qualità di direttore e bar manager. «L’happy hour è giunto al capolinea. Milano ha vinto la sfida europea nel bere e nel mangiare di qualità, ma finora i due campi erano rimasti separati. La scommessa di Camparino è creare il matrimonio perfetto tra la grande cucina italiana, interpretata da Davide Oldani, e l’alta mixologia. Il Bar di Passo, metropolitano e dinamico, lavora con i classici, mentre Spiritello, al piano rialzato, propone anche cocktail signature: chi viene si prende il tempo per una vera esperienza».
Ma ci voleva un’idea forte, ed è venuta allo chef Oldani: si chiama Pan’Cot. Nulla da stupirsi: era stato proprio lo chef del D’O di Cornaredo a nobilitare la cipolla, due lustri fa; dopo la sua alchimia, si caramella e diventa piatto di alta cucina. «Non ho fatto nulla di strano, per il Camparino», dice Oldani, modesto. «Ho solo ripreso in mano le mie radici milanesi. La generazione di mia madre ammorbidiva il pane nell’acqua o nel latte, poi lo metteva sulla stufa ad arrostire». Ed è ciò che Oldani ha fatto al Camparino: creare una serie di basi lievitate da 30 o 50 grammi, leggermente croccanti su un lato, come fogli bianchi da «disegnare» con ingredienti dolci o salati. Oppure i grandi classici reinterpretati, come il risotto alla milanese sotto forma di crema o la cacio e pepe. A ogni Pan’Cot corrisponde il suo cocktail. Esempio di un pairing perfetto? Quello con il bruscitt, sorta di ragù lombardo con retrogusto speziato, dove domina la noce moscata, abbinato a un classico Americano. Le cucine e i laboratori di pasticceria occupano il seminterrato, tutto viene prodotto internamente. Nei tre piani (sono anche previsti corsi per bartender, nella nuova Sala Gaspare Campari) lavorano oltre 40 persone. Camparino resta aperto 362 giorni all’anno.