Pop e ambiente con Elisa
La cantante al Forum con i suoi «Diari aperti»
«È vero, il concertismo è una centrifuga, ma al centro della tempesta c’è calma piatta e il mio tempo mi sembra dilatato: quando ripenso ai concerti di un anno fa mi sembra sia passata una vita». Beatrice Rana ha una sua teoria copernicana sulla gravitazione musicale; le sue dieci dita orbitano alla velocità della luce non solo perché in queste settimane stanno sfidando pagine dal celestiale virtuosismo, come fa stasera per la Società dei Concerti con i 12 Studi op. 25 di Chopin, il terzo libro di «Iberia» di Albeniz e «Petrouchka» di Stravinskij: la talentuosa pianista di Copertino da varie stagioni è lanciata sulle principali rotte del concertismo planetario. «Domenica ho suonato alle 11 agli Champs-Elysées, provando a ore antelucane e poi rimanendo un’ora abbondante a parlare col pubblico, come mi è capitato con questo programma a Roma, Praga e Firenze; Milano è la penultima data, poi sarò ancora in tournée con la London Symphony, suonerò il primo concerto di Ciajkovskij e il terzo di Prokof ’ev». Domenica pomeriggio da Parigi è volata a Dortmund, dove si è esibita anche ieri; come può non essere una centrifuga? «Ciò che sta avvenendo ora è il frutto di anni di studi, di lavoro e di maturazione, non è casuale o imprevisto; ogni concerto è cercato e mi dà sensazioni profonde: dire che ogni serata è diversa non è uno slogan. Certo, i ritmi sono serrati e me ne accorgo quando in un attimo mi trovo alle spalle un concerto che attendevo in modo particolare». Come quello parigino, «perché non ho pensato a questo trittico come un inno al virtuosismo, ma per ripercorrere i passi di tre musicisti che da stranieri composero questi capolavori nella capitale francese. Iberia è uno di quei casi inspiegabili in cui brani bellissimi non vengono quasi mai proposti in concerto, Petrouchka invece è eseguito spessissimo; ma la musica di Albeniz non ha nulla da invidiare a questa di Stravinskij», cui comunque Rana ha dedicato il suo ultimo disco, premiato con Diapason d’or, dove del russo esegue anche «L’uccello di fuoco», accostato a «Miroirs» e «La Valse» di Ravel. Gli Studi di Chopin sono un caso a sé: «Soprattutto compongono un’opera unitaria, non sono 12 esercizi tecnici a sé stanti; vi leggo un percorso emotivo, spirituale ed estetico, non a caso uno inizia con l’ultima nota del precedente o in una tonalità che ne è la relativa maggiore o minore. Da sempre il mio preferito è il nono, la “Farfalla”, che Saramago usa ne “Le intermittenze delle morte” per descrivere un violoncellista».