Vetture rubate ai parcheggi del metrò: banda tradita dal Gps
Gli arresti
Li hanno arrestati con il nastro nero in mano. Nastro adesivo che utilizzavano per alterare la targa di una macchina rubata pochi giorni prima. I due fratelli (63 e 68 anni, residenti a Grezzago a Carvico, Bergamo) sono stati arrestati a Segrate, lo scorso 3 dicembre, dagli uomini della squadra di polizia giudiziaria della Polstrada. Gli stessi investigatori però avevano un altro filo, stavolta elettronico, che li ha portati dentro un capannone di Misinto, in provincia di Monza, dove la banda aveva un magazzino che faceva anche da officina clandestina. E lì hanno arrestato per riciclaggio e ricettazione altri tre uomini: due marocchini di 30 e 41 anni, e di un polacco di 62. Piccola gang multinazionale che «lavorava» però a ritmo industriale. Gli uomini della Polstrada li accusano per il momento di almeno 29 furti d’auto, che venivano rubate in giro per Milano e in particolare in alcuni parcheggi di interscambio non custoditi (soprattutto a Cascina Gobba, anche l’Atm ha collaborato fornendo costantemente le immagini). L’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Andrea Fraioli ha infatti incrociato molte ore di filmati dai quali i poliziotti hanno estrapolato profili e informazioni sui due uomini che rubavano le macchine. Prediligevano soprattutto le Volkswagen, modelli «T-Roc» e «T-Cross». Di solito spaccavano uno dei finestrini, forzavano il blocchetto di accensione e sostituivano la centralina. Durante le perquisizioni nelle case dei ladri, gli investigatori hanno recuperato tutti gli strumenti che usavano per colpire: un disturbatore di frequenze per «accecare» gli antifurti satellitari, svariate centraline, attrezzi per lo scasso (sequestrati anche 1.500 euro in contanti). Come ulteriore prova, sono stati trovati anche gli abiti usati quel giorno per due furti commessi nelle ore precedenti all’arresto. Anche se la banda aveva una certa esperienza nel disattivare allarmi e segnali elettronici, i poliziotti sono riusciti a utilizzare comunque un segnale Gps che li ha portati al capannone di Misinto. Lì hanno trovato molti motori allineati a terra e pezzi d’auto già smontati. Il passaggio in officina era l’ultimo prima dei canali del commercio clandestino verso l’estero, che assorbono quasi per intero le macchine rubate in Italia. La banda, che aveva competenze meccaniche di alto livello, si disfaceva esclusivamente dei telai.