Undici atelier e una rivoluzione È tornata la Casa degli artisti
Nata nel 1909 e abbandonata: riapre a febbraio. No a piani abitativi: ospiterà cultura
Come modello culturale (ma anche immobiliare) viene in mente Berlino. Che in questi casi è la sintesi migliore se si vuole parlare di un progetto di rigenerazione urbana nel cuore di una metropoli e non alla periferia dell’impero. La storia della Casa degli Artisti è antica e sta per richiudere il cerchio. Era il 1909 quando sotto questo stesso tetto i fratelli Bogani, mecenati che amavano l’arte, ospitavano bohemienne di vario livello artistico, che bazzicavano dalle parti di Brera. Negli anni questo luogo era diventato tante altre cose. Un centro sociale, un liutaio. Tanta ruggine, ma la stessa anima e la stessa luce che taglia stanze che in chiave industriale diventeranno un luogo trasversale. Un approccio ibrido: spazio per laboratori e creatività diffusa.
Per questo fa un bell’effetto passeggiare in questi quasi 1500 metri quadri, 500 per piano, che dal primo febbraio riapriranno i battenti dopo un’imponente ristrutturazione con una festa aperta alla città. «La cosa che ci dà più orgoglio è che generalmente questo tipo di spazi abbandonati nel centro di una città vengono abbattuti per farci case, alberghi o parcheggi. Il Municipio 1 ha creduto che si potesse fare qualcosa di diverso», racconta Christian Gangitano, uno delle menti di questa rivoluzione culturale. Il bando del Comune di Milano due anni fa faceva gola a molti. Alla fine se lo aggiudica un’associazione di associazioni (Zona K, That’s Contemporary,
Atelier Spazio Xpo’, Nic e Centro Itard Lombardia).
Sotto aprirà una caffetteria stile bistrot, che insieme agli eventi sarà il modo di far camminare economicamente il progetto. Perché gli artisti di tutto il mondo verranno ospitati a tutti gli effetti. E oltre agli spazi di lavoro, avranno supporto produttivo, tecnico e organizzativo per lo sviluppo e la realizzazione dei loro progetti. Praticamente una vetrina, da sviluppare lungo l’asse Dentro/Fuori, riportando il lavoro degli artisti dentro la casa e veicolando il loro potenziale fuori. «Le residenze potranno durare un mese come appoggio o estendersi massimo fino a un anno, ma accadrà raramente. Puntiamo a un grande turnover. Possiamo
invitare o fare artist call: ci ha colpito che quando abbiamo lanciato le prime a inizio dicembre, in pieno periodo pre natalizio, siano arrivate già un centinaio di candidature», spiega Valentina Picariello di Zona K e presidente del team che compone la Casa degli Artisti.
Ci saranno undici atelier, che lavoreranno, ma avranno anche gli spazi espositivi per fare conoscere le loro opere. Per ora rimangono formato open space: «Per aprire alle contaminazioni e facilitare la sfida multidisciplinare», aggiunge Picariello. A voler fare una scommessa il posto funzionerà. Perché in queste settimane pre-inaugurazione ha già ospitato presentazioni di libri come il parto di un disco. Un rodaggio a 360 gradi. «Se rimani aperto alla città, devi offrire tante cose possibilmente diverse. Brunori Sas, che della nuova scena del cantautorato indie è uno dei portabandiera, non trovava ispirazione. È venuto qui a lavorare parte dell’album e poi l’ha pure presentato qui alla stampa». Quel genere di cose per cui, di solito, si va fino a Berlino.
Filosofia Anziché palazzi, alberghi o parcheggi il Municipio ha creduto che si potesse fare qualcosa di diverso nell’area
Incroci Brunori Sas non trovava ispirazione: è venuto a lavorare parte del suo album e poi l’ha presentato qui alla stampa