Il ritmo del destino
Chailly con la Filarmonica della Scala prosegue la sua «corsa-Beethoven» Da stasera la Quinta e l’Ottava Sinfonia
Occhio al metronomo
Bisogna resistere alla tentazione di indulgere nel «ritenuto», una trappola per molti
Questione di tempo, anzi, di ritmo. Riccardo Chailly incise nel 2011 le nove sinfonie di Beethoven con la Gewandhaus di Lipsia; un’interpretazione definita rivoluzionaria non solo per l’eccellenza tecnica e interpretativa, ma per la scelta di adottare i funambolici metronomi indicati da Beethoven e ripresi anche nell’integrale con cui Chailly e la Filarmonica della Scala omaggiano il musicista tedesco a 250 anni dalla nascita. Stasera, dopo l’«Eroica» con cui ha aperto la stagione della Filarmonica, porta per il cartellone concertistico della Scala la Quinta e l’Ottava, facendole precedere dall’ouverture «Egmont»; un programma enorme e intenso, che verrà portato in tournée nei prossimi giorni a Colonia, Anversa, Essen e Parigi, poi ad aprile ad Amburgo. Ovviamente le maggiori attese del pubblico sono per la Quinta, la sinfonia «del destino che bussa alla porta». Che sul pentagramma si traduce in una questione di ritmo. «Come ottenere il senso di un destino inevitabile? Suonando senza rallentare! In tutto il primo movimento, con la sola eccezione di un passaggio nella cadenza dell’oboe, Beethoven non indica nessuna variazione di tempo; sto lavorando per ottenere non solo la velocità originale, ma anche la non flessibilità, il senso di ossessione e quasi di condanna; occorre resistere alla tentazione di indulgere nei “ritenuto”, una vera e propria trappola in cui si rischia di incorrere spesso in modo irrazionale». Sulle «quattro note più famose della storia della musica», come Leonard Bernstein definì il sol-sol-sol-mi bemolle che apre la Quinta, Chailly ha lavorato una vita: «Ricordo un corso estivo di direzione a Siena con il leggendario Franco Ferrara; si concentrava quasi ogni giorno sullo stesso punto, l’inizio della Quinta. E ripeteva immancabilmente: “Ricorda, è come il rimbalzo di una palla: la velocità naturale e la distanza del rimbalzo dovrebbero corrispondere al chiaro levare della mano destra del direttore per rendere il ritmo dell’inizio”; in effetti è molto difficile da ottenere».
Nel ritmo è nascosto il segreto anche dell’Ottava: «Se si inizia il primo movimento con 69 battiti di metronomo, lo si trasforma in qualcosa che ha molto dello spirito della musica da ballo. Dopo il delizioso Scherzo, il terzo movimento è bello e naturale nonostante gli archi debbano suonare le terzine in modo incredibilmente veloce. Il finale è il punto più estremo di tutte le nove sinfonie: il metronomo è quasi paradossale, 84 a battuta, che è davvero il limite esecutivo, anzi l’oltrepassa: neppure Toscanini si è avvicinato alla velocità richiesta. Credo però che Beethoven non volesse essere folle e provocatorio, e neppure estremo: cercava di ottenere il risultato che voleva dall’orchestra».