«Una risata per riflettere» Ascanio Celestini al Carcano con «Barzellette»
«Queste storielle ci consentono di conoscere il nostro lato peggiore»
In attesa di ritrovarlo al Piccolo Teatro in aprile con l’ormai mitico monologo «Radio clandestina», Ascanio Celestini fa suo uno degli archetipi della narrazione orale, la barzelletta, e le costruisce intorno uno spettacolo. In scena da questa sera a domenica al Teatro Carcano (corso di P.ta Romana 63, ore 20.30, dom. ore
16, € 18-13,50), «Barzellette» nasce come raccolta in volume di un repertorio popolare (Einaudi), per trasformarsi in scena in una delle sue vertiginose affabulazioni, intrecciate alle musiche del fedele Gianluca Casadei. «Le barzellette», spiega Celestini, «hanno attraversato il mondo e le culture vestendosi dell’abito locale, ma portando con sé elementi pescati ovunque. I carabinieri italiani in Francia diventano belgi. I tirchi sono scozzesi o genovesi e, un po’ dappertutto, ebrei. Le barzellette sugli afroamericani quando arrivano in Italia finiscono sugli zingari».
Dal mondo di un vecchio ferroviere di una piccola stazione provengono invece le storielle che compongono lo spettacolo, raccolte un po’ in viaggio un po’ dai passeggeri in transito, con lo scopo di far divertire il capostazione. Protagonisti, cani parlanti, mogli e mariti, Andreotti e Berlusconi, carabinieri e suore, omosessuali e migranti, più altri personaggi di barzellette scritte dallo stesso Celestini. Ma non sono mai le stesse, cambiano a ogni replica. Un modo per filtrare la realtà, per affrontare anche temi scottanti e politicamente scorretti perché, se si sta alle regole giocose delle barzellette, si può ridere di tutto, in modo catartico, pescando nell’inconscio e nei nostri lati oscuri. «Le barzellette», conclude, «ci permettono di prendere il peggio di noi per smontarlo e conoscerlo. Sono un’arma tolta a un assassino e usata in maniera ridicola. È trasformare il fucile a canne mozze in una pistola ad acqua. Mostrano quanto siamo infami, ma anche liberi e deboli. Ci ricordano che possiamo ridere di tutto a cominciare da noi».