Corriere della Sera (Milano)

«Sei nera non voglio il tuo posto»

Sul bus, in ospedale. I racconti al Centro per l’istruzione degli adulti. Solidariet­à sui social

- di Barbara Gerosa

L’autobus è pieno, lei è seduta, sale una signora anziana e lei si alza per cederle il posto, ma la reazione è raggelante: «Sei nera, non voglio il tuo posto». Binta, 32 anni, tre figli, racconta il suo sgomento ai compagni di scuola della sede di Oggiono del Cpia, il Centro provincial­e per l’istruzione degli adulti, dove è possibile sostenere gli esami di cittadinan­za. E uno dopo l’altro arrivano racconti analoghi, «è capitato anche a me», dicono altri giovani immigrati. Sono soprattutt­o gli anziani a essere diffidenti. «Ma nella nostra cultura è impensabil­e lasciare una persona più grande di te in piedi quando tu sei seduto».

LECCO «Ho preso l’autobus in stazione a Lecco per tornare a casa. Il pullman era pieno di studenti. Sono riuscita a sedermi. Poi è salita una signora anziana. I sedili erano tutti occupati, anche perché su alcuni i ragazzi avevano appoggiato piedi e zaini. Mi è sembrato naturale alzarmi e chiedere alla vecchietta di mettersi al mio posto. Mi ha risposto: no, sei una nera. Non sapevo più cosa fare, nessuno ha detto nulla. Sono stata in silenzio. A casa ho pianto, ma poi ho pensato che non è grave, va bene così». Binta ha 32 anni, è arrivata dal Senegal cinque anni fa, ha un marito e tre figli piccoli. Frequenta la sede di Oggiono del Cpia, il centro provincial­e per l’istruzione degli adulti, dove è possibile sostenere gli esami di cittadinan­za, partecipar­e a corsi di lingua e prendere parte a progetti di integrazio­ne. Lei studia l’italiano. «Perché quando i miei bambini andranno a scuola vorrei aiutarli». Il suo compagno di banco è Marcelino, 23 anni, della Nuova Guinea, lavora in un supermerca­to. «È successo anche a me. La stessa identica cosa. Sono soprattutt­o gli anziani ad essere diffidenti. Ma nella nostra cultura è impensabil­e lasciare una persona più grande di te in piedi quando tu sei seduto».

I racconti scivolano uno dietro l’altro. È l’ora di cittadinan­za. L’insegnante Monica Mauri ha chiesto alla classe, una decina di alunni provenient­i da tutto il mondo, di raccontare i costumi dei loro paesi. Cedere il posto a un anziano è un uso comune a tutti. A fatica si aprono e confidano le loro storie di ordinaria discrimina­zione. «Non accade sempre, ma purtroppo accade. E mentre i miei amici ritengono che in fondo non sia grave, io credo invece che simili episodi debbano essere denunciati», interviene Abdoulaye Diagne, 25 anni, senegalese, l’unico che non si vergogna a mostrare il suo volto. Parla cinque lingue, sta studiando per ottenere la licenzia media. In quattro mesi ha imparato l’italiano frequentan­do i corsi serali del Cpia, istituito dal Ministero dell’Istruzione per l’educazione in età adulta. «Mi spiace quando i miei compagni di classe dicono certe cose, perché non dovrebbero succedere. Io non credo sinceramen­te ci sia cattiveria nelle persone, solo forse un po’ di diffidenza. Tanti lecchesi mi hanno aiutato, ma a volte gli sguardi e le parole sussurrate fanno male», dice Abdoulaye mentre con gli occhi cerca l’assenso della sua insegnante. «Quello che stupisce è che questi ragazzi fanno fatica a raccontare certi episodi, si sentono quasi in colpa. Lo fanno con molte reticenze, sono i primi a giustifica­re comportame­nti che loro ritengono normali e io giudico terribili», spiega Monica Mauri, docente di italiano. Accanto a lei il collega Paolo Barbieri. Insegna matematica, ha scritto un post su Facebook in cui ha riassunto quanto accaduto a Binta. Decine le risposte. Solidariet­à, condivisio­ni, ma soprattutt­o esperienze simili. «Mi sono arrivati una valanga di messaggi e tante storie simili a quelle già sentite in classe — spiega —. Una ragazza adottata, in città fin da quando era piccola, si è sentita dire che non poteva salire sul pullman. Un’altra, italiana, ha raccontato di aver assistito a una scena surreale. In coda per fare un prelievo in ospedale: l’uomo davanti a lei, nonostante fosse il suo turno, non è voluto entrare nel box perché la paziente appena uscita era di colore. Lecco non è razzista, sono episodi isolati. Ma se per i miei alunni tutto questo è normale, non lo deve essere per noi insegnanti che abbiamo il dovere di raccontare. E di farlo con le loro parole».

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Monica Mauri e Paolo Barbieri, insegnanti del Cpia, il Centro per l’educazione degli adulti di Lecco: fra loro uno degli alunni, Abdoulaye Diagne
In aula Monica Mauri e Paolo Barbieri, insegnanti del Cpia, il Centro per l’educazione degli adulti di Lecco: fra loro uno degli alunni, Abdoulaye Diagne

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