Dietro la luce mistica di La Tour
A Palazzo Reale la prima personale italiana dell’enigmatico maestro seicentesco Scene di genere e notturni che indagano la fragilità della condizione umana
Riflessi sui metalli, bagliori sulle trasparenze, riverberi sui panneggi, contrasti sui volti: candele e lanterne ardono nella notte con esiti di straordinaria suggestione. Apre oggi a Palazzo Reale «Georges de La Tour. L’Europa della luce», prima mostra dedicata in Italia al maestro francese del ‘600 (fino al 7 giugno, piazza Duomo 12, euro 14/12, www.georgesdelatourmilano.it). A cura di Francesca Cappelletti e Thomas Clement Salomon, promossa e prodotta da Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira, la rassegna raduna ben 15 opere autografe su 40 universalmente attribuite al pittore, mettendole a confronto con altri autori internazionali del filone naturalistico caravaggesco a cui si fa appartenere lui stesso.
Singolare sorte, quella di La Tour (1593-1652), stimato all’epoca fino a diventare pittore di corte di Luigi XIII, a lungo dimenticato e riscoperto nel 1915 dal critico d’arte tedesco Hermann Voss. Un personaggio di cui si conosce poco, enigmatico come la sua pittura, misterioso nel rapporto pur evidente con Caravaggio: l’avrà visto dal vero, viaggiando in Italia, o l’ha conosciuto solo in modo mediato? Il caravaggismo poi è una definizione troppo generica, afferma Cappelletti: questa è un’occasione per restituire identità più chiare al protagonista del percorso e a grandi artisti coevi, come Honthorst, Bor o Bigot.
Due i soggetti chiave trattati: i temi diurni o «scene di genere», protagonisti mendicanti e popolani, e i capolavori notturni, soprattutto santi e scene religiose, il buio squarciato da lumi artificiali studiati ad effetto. Ma se l’etichetta di pittura della realtà si può adattare al primo tema e alla sua crudezza, non basta invece a contenere il secondo. Che va al di là del significato sacro, rivestendosi di simboli inquieti sulla fragilità della vita, di luci mistiche e soprannaturali, di forme così nitide da apparire stranianti, di spazi che evocano infinito e nulla.