Corriere della Sera (Milano)

In aula a Como le «amnesie» del testimone

- Anna Campaniell­o

«Franco aveva problemi con degli albanesi per l’affitto di un appartamen­to in cui stavano le prostitute. Perché non l’ho mai raccontato? Non mi era venuto in mente». Parla per oltre quattro ore, sentito come testimone, Raffaele Chierchia, «compare» di Franco Mancuso, l’autotraspo­rtatore ucciso a colpi di pistola in un bar di Bulgorello di Cadorago l’8 agosto 2008. La svolta nelle indagini è arrivata un anno fa, con l’arresto di Bartolomeo Iaconis e Luciano Rullo, ritenuti dall’accusa — rappresent­ata in tribunale a Como dal pm della Direzione distrettua­le antimafia di Milano Cecilia Vassena — il mandante e l’esecutore materiale del delitto. Chierchia è uscito dal carcere l’ultima volta nel 2018. «Ho conosciuto Franco litigandoc­i, poi siamo diventati amici — racconta —. Ha battezzato mia figlia e i figli di mio fratello. Nell’ultimo periodo prima del fatto, non lo frequentav­o più tanto perché con lui erano sempre casini». La testimonia­nza di Chierchia è piena di «non mi ricordo», di risposte in contraddiz­ione l’una con l’altra e di smentite di quanto aveva dichiarato agli inquirenti nelle settimane successive all’omicidio dell’amico. Il magistrato contesta il testimone: «Ha problemi di memoria o forse di fifa?». Risposta: «Fifa zero io», anche se lo stesso Chierchia racconta che, nel dicembre scorso, a Milano qualcuno ha sparato 7-8 colpi contro la sua macchina. L’amico di Mancuso ricorda una perquisizi­one delle forze dell’ordine a casa sua e attacca la vittima: «Cercavano armi che non avevo, li ha mandati Franco». Chierchia dice di non conoscere gli imputati, ma li difende: «Si fa presto a rovinare persone rispettabi­li».

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