Rococò e vedute veneziane nella casa-museo di Paolo Zani imprenditore e collezionista doc
Casa Zani accoglie i visitatori tra i tesori del Sei e Settecento messi insieme dall’imprenditore bresciano
La bellezza diffonde gioia di vivere, è un antidoto ai dolori dell’esistenza. La pensava così Paolo Zani, imprenditore bresciano che tra 1988 e 2018, anno della sua scomparsa, ha costruito intorno a sé un mondo di bellezza. Perché era un collezionista, curioso e intuitivo: d’istinto sceglieva pezzi straordinari per il suo personale museo custodito nella casa di famiglia a Cellatica, in Franciacorta, dove la dimensione privata era tutt’uno con la full immersion nell’arte. Riservato e schivo in vita, Zani ha deciso che dopo di lui questo patrimonio andava condiviso, soprattutto in ricordo della figlia: è nata così la Fondazione Paolo e Carolina Zani, che pochi giorni fa ha annunciato l’avvenuta trasformazione della villa in casa museo aperta al pubblico. Un museo nuovo, quasi ignoto anche agli studiosi, composto di circa 850 opere tra dipinti, sculture, arredi e oggetti d’arte applicata: ad accomunarli un livello qualitativo di eccellenza e l’ottimo gusto del collezionista. Che, da autodidatta, si era appassionato in particolare a un’epoca, XVII° e XVIII° secolo, tra Barocco e Rococò, Venezia, Roma e Francia.
«Il percorso, che vuole conservare l’aura della casa privata, mette in luce il desiderio di Zani di dialogare quotidianamente con l’arte senza vetrine, teche, ostacoli: aveva creato lui stesso l’allestimento secondo le sue predilezioni stilistiche e le sue esigenze abitative», spiega il direttore Massimiliano Capella. Tutto quindi è rimasto com’era nella villa, costruita nel 1976 dall’architetto bresciano Bruno Fedrigolli: secondo il modello di una domus romana, gli ambienti si articolano intorno a un impluvium centrale coperto in vetro. E ogni ambiente è un carosello di meraviglie dove lo sguardo non sa dove andare, catturato dallo splendore dei pezzi esposti, tra broccati, specchi e boiseries. Nella sala detta del Canaletto spiccano appunto due capolavori del pittore lagunare, «La piazzetta di Venezia» e «Il molo del bacino di San Marco», appartenuti rispettivamente a Sophia Loren/Carlo Ponti e allo Scià di Persia Reza Pahlavi. Nello stesso ambiente, sopra una sontuosa commode Boulle, è appeso un dipinto di François Boucher, maestro del Rococò francese, tra micromosaici, porcellane orientali e mori veneziani. Subito dopo una nicchia accoglie un paesaggio di Francesco Guardi, anno 1782, di cui esiste il disegno preparatorio al Correr di Venezia, mentre in sala da pranzo dominano due gioielli dell’ebanista Maggiolini, una coppia di cassettoni intarsiati su disegno di Appiani e Albertolli.
L’impluvium accoglie pezzi in bronzo e materiali lapidei, busti romani, intarsi marmorei e vasi magnogreci, ma il meglio è la Sala dell’Ottagono. Dove tra Tiepolo e Bellotto, cofanetti nuziali e chinoiseries, lacche e coralli trapanesi, trionfa un tavolo in commesso di pietre semipreziose a motivi floreali e animali, capolavoro fine ‘600 primi ‘700 dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Il resto? Lo scoprirà il visitatore, ne vale la pena.