I centralini vanno in tilt: «Non abusate del 112»
«Lasciate libero il 112». Tamponi solo a chi ha sintomi. Guardia medica, chiusure e disagi
C’è chi non è mai riuscito a prendere la linea. Chi dopo la paura per un possibile contagio s’è trovato con qualche linea di febbre. Chi, ancora, è stato messo in isolamento domiciliare in attesa del test.
Ci sono tante storie, anzi migliaia a giudicare dal ritmo delle chiamate. E se è vero che la psicosi è sempre ingiustificata, resta il fatto che dopo l’invito a non presentarsi in pronto soccorso ma di limitarsi alle consulenze telefoniche, l’assalto ai centralini di emergenza è stato inevitabile. Uno tsunami di richieste che ha mandato in tilt non solo il numero regionale dedicato 800.89.45.45 (in un primo momento riservato alle sole richieste della zona rossa, ossia di Codogno e dintorni) ma anche il numero unico di emergenza 112. Qui un flusso esagerato di chiamate «non urgenti» ha occupato gli operatori e le linee anche per le chiamate di «emergenza ordinaria» (malori, aggressioni, incidenti) mettendo a rischio la vita di diverse persone in attesa di un intervento urgente. Tanto che è stato complicatissimo anche solo riuscire a prendere la linea. Tra l’altro ieri anche diversi ambulatori di guardia medica sono rimasti chiusi perché i medici hanno lamentato carenze nelle forniture di protezione.
Una situazione già vista domenica e destinata ad aumentare ancora nei prossimi giorni. Da qui l’appello del governatore Attilio Fontana e dell’assessore Giulio Gallera a tenere libere le linee: «I numeri sono tutti intasati, si pensava di riuscire a gestirli ma c’è stata grande ondata. Abbiamo chiesto rinforzi anche al centralino regionale e siamo in grado di assorbire telefonate». L’invito alla cautela nelle chiamate — spiegano i sanitari — specie quando si tratta di problemi che riguardano la salute, è raramente efficace perché chi è affetto da qualche patologia ha una percezione personale della gravità.
Per questo è necessario che si chiariscano alcuni aspetti. Non ci saranno tamponi per tutti i casi «sospetti». Si darà la precedenza a chi ha sintomi «gravi» e ha avuto contatti (certi) con un malato positivo. Ma a distanza di cinque giorni dal «paziente indice» (il 38enne di Codogno) la ricerca su larga scala di possibili contagi sarebbe azione improba, oltre che inutile. La Lombardia, specie la parte centrale e sud, è ormai considerata zona di diffusione del contagio. È chiaro che i casi di positività non sono più limitati al Basso Lodigiano. Tant’è che agli abitanti della cosiddetta zona rossa (i dieci Comuni isolati) il test non viene effettuato, se non appunto di fronte a gravi manifestazioni della malattia.
Si agisce cercando di gestire i casi, di limitarne le diffusione, di dare cura e soccorso ai malati gravi. «Da adesso in poi i tamponi per rilevare la presenza del nuovo coronavirus verranno eseguiti sui contatti dei pazienti positivi, solo quando sviluppano sintomi», hanno spiegato dalla Regione. In sostanza chi è stato esposto al possibile contagio, o si sente a rischio, viene messo in «isolamento domiciliare». Ma non c’è ricovero né test fino alla comparsa di sintomi gravi: febbre oltre i 39 gradi, problemi respiratori seri. A quel punto scatta il ricovero in ospedale e il malato viene sottoposto al tampone. Per le forme meno gravi, anche se si dovesse trattare di coronavirus, il decorso della malattia può restare quello domiciliare. Come una semplice influenza ma con la cautela di non contagiare altre persone.