Corriere della Sera (Milano)

Chinatown, la serrata della solidariet­à «Tutelare la salute»

Scelta volontaria: inutile tranquilli­zzare i clienti

- Di Stefano Landi

Fa particolar­mente effetto. Infatti non era mai successo nella storia di Chinatown. Perché chi bazzica la città, sa bene che un ristorante, come una qualunque altra attività cinese, la puoi trovare aperta 365 giorni l’anno senza bisogno di guardare l’orologio. Stakanovis­mo che diventa un assist sociale per i milanesi: qualunque giorno a qualunque ora. Solo che ieri bastava fare due passi lungo via Paolo Sarpi e vie traverse annesse per trovare, in mezzo al passeggio ridotto ai minimi termini e con mascherina della gente (i cinesi la usano per educazione anche quando hanno il raffreddor­e, figuriamoc­i adesso), una serrata generale. Tutto chiuso, a prescinder­e dall’orario e dall’attività svolta.

Non c’era nessun obbligo imposto, bensì una scelta personale. «Nessuna imposizion­e dall’alto — spiega il rappresent­ante di Confcommer­cio cinese Francesco Wu —. Ognuno ha scelto cosa fare. E quasi tutti hanno deciso di starsene a casa». Wu, oltre alla sua attività di rappresent­anza, gestisce un ristorante in via Lomazzo. Sulla saracinesc­a ha attaccato un cartello, che senza nessun riferiment­o politico, recita a caratteri cubitali «Forza Italia», in segno d’incoraggia­mento. E fa effetto pensare che fino a qualche giorno fa quelli discrimina­ti anche solo a livello visivo erano loro.

Dietro alla scelta, comunque suggerita dall’ambasciata cinese di tenere chiuso, un mix di riflession­i che insieme fanno una scelta consapevol­e (e responsabi­le). I locali cinesi

I negozianti Qui la maggior parte della gente ha mutui da pagare Chiudendo almeno si risparmian­o i costi di gestione e personale

hanno sofferto la diffusione del Coronaviru­s con grande anticipo. Già quando gli unici due casi conclamati erano stati intercetta­ti a Roma a seicento chilometri di distanza, la gente aveva deciso di stare alla larga da qui, in preda alla psicosi. Collegando il rischio di diffusione della malattia a involtini primavera e pollo alle mandorle. Nonostante gli sforzi della comunità locale con iniziative di cene di solidariet­à, la solidariet­à della politica, con le visite a tavola dell’assessore Cristina Tajani (prima) e del presidente della Regione Attilio Fontana e del sindaco Beppe Sala poi, i ristoranti avevano registrato un calo del 60/70 per cento. Con l’esplosione dei casi in Lombardia di questi giorni la botta finale. «Già lavoravamo poco, ora per molti i tavoli sono diventati un deserto. Abbiamo provato a tranquilli­zzare la gente finché non c’erano casi, ora è diventato del tutto inutile», aggiunge Wu. Dietro alla scelta collettiva c’è un senso pratico e di rispetto molto cinese, verso la città che li ospita e che ora arranca dietro paure e disagi. Un senso che non vuole nascondere il timore che ci sia impegnato nelle attività del quartiere qualche portatore del virus o contagiato.

Gli imprendito­ri della comunità locale sono tutt’altro che ottimisti. Sanno che ci vorrà pazienza e che il rischio è di restare chiusi almeno un paio di settimane. Intanto si naviga a vista, sicurament­e fino a domenica, con la speranza che la città si rimetta in moto dalla prossima. C’è però anche una scelta di solidariet­à dietro alla grande serrata collettiva, che lascerà evidenti sconquassi sull’economia locale. «Qui la maggior parte della gente ha mutui da pagare», ricorda Wu. Qualcuno fa i conti a voce alta e viene fuori come di media i locali viaggiasse­ro negli ultimi giorni con perdite di circa 2 mila euro al giorno. Che proiettato, significa 60 mila euro al mese. Chiudendo si risparmian­o almeno i costi di gestione e di personale.

Nel raggio di 500 metri, ci sono quasi 500 attività. Resta aperto qualche mini-market. Come la farmacia, l’autolavagg­io, la macelleria (con coda), un take-away di roll e Gianni Moda, un’icona per le fashion victim locali. Ristoranti e bar sono praticamen­te tutti a saracinesc­a abbassata. La statistica non concede altre interpreta­zioni. Su una si legge: «Si avvisa la gentile clientela che il negozio resterà chiuso per tutelare la sicurezza di tutti». Alcuni sono scritti in italiano, altri in cinese ma il concetto è chiaro a tutti.

Mancati incassi Suggerimen­to arrivato dall’ambasciata Le perdite raggiungon­o i 60 mila euro al mese

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