Corriere della Sera (Milano)

Il «coprifuoco» della movida dai Navigli a Brera Ma c’è chi dice no

L’ordinanza svuota i locali. Dubbi sulle norme Il bar Jamaica: isteria. Le discoteche: kafkiano

- Di Andrea Senesi

Sulla Ripa di Porta Ticinese le insegne obbligate della movida cittadina il Mas, il Pinch, il Rita, una dopo l’altra, sono tutte spente. Quelle che resistono e che non abbassano la saracinesc­a come lo Spritz e il Gud in Darsena garantisco­no di essere in regola perché fanno da mangiare e sono così dispensate dalla serrata all’ora del tramonto. Il virus lascia a secco la Milano da bere: i Navigli alle 18 sono semi-deserti e, anche se è lunedì, il clima primaveril­e invogliere­bbe eccome al rito più meneghino che ci sia: l'aperitivo. Eccola invece la «socialità ridotta» predicata dal sindaco. Non è un deserto solo perché l’ordinanza firmata dalla Regione domenica lascia comunque margini di manovra: se prepari da mangiare, non c’è obbligo di chiusura tout court, ma solo il divieto di assembrame­nto al bancone.

In zona Brera i locali aperti sono invece in maggioranz­a. Il Radetzky, per esempio, o lo storico Jamaica che della resistenza alla psicosi fa pubblico vanto. «Non ci avranno mai! Giam non ha chiuso sotto i bombardame­nti e deve chiudere per l’isteria collettiva?», si legge sulle mensole del bancone e sulle pagine Facebook del locale della bohème artistica degli anni 60.

Il divieto però non è uno scherzo. I trasgresso­ri rischiano una denuncia penale, in forza dell’articolo 650 che punisce chi «non osserva un provvedime­nto legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene». Ma dal Comune lasciano intendere che per la prima serata di coprifuoco non pioveranno denunce e che il provvedime­nto, almeno nella sua fase iniziale, ha soprattutt­o carattere di persuasion­e e sensibiliz­zazione. Rimane però la complicata interpreta­zione dell’ordinanza, con relative zone grigie nell’applicazio­ne. Per esempio: i bar con tavola calda devono chiudere all’imbrunire? «L’ordinanza — conferma Carlo Squeri, presidente di Epam — presenta diverse ambiguità ed è difficile capire chi effettivam­ente è obbligato a chiudere. Neppure a noi hanno fornito risposte certe». Difficile quindi calcolare il salasso della serrata: «Se l’ordinanza si applica solo ai locali di sera, una prima stima ipotizza un danno per il settore di 2-3 milioni di euro al giorno, una quindicina nell’arco della settimana». Per questo la categoria chiede alla Regione e soprattutt­o al governo di beneficiar­e dei finanziame­nti destinati al sostegno delle attività culturali. E ovviamente di godere di sconti, agevolazio­ni e dilazioni fiscali.

Ma il rischio vero è che il «divieto di aperitivo» possa trascinars­i per un’altra settimana. Dario Comini, proprietar­io del Nottingham Forest, uno dei più celebri cocktail bar d’Italia, racconta che tra gli esercenti milanesi è nata da domenica una chat per coordinare

Il nodo dell’happy hour Alcuni locali da aperitivo hanno deciso di stare aperti perché hanno le licenze da ristorator­i La giunta: «Rischio denunce»

le azioni: «Siano una sessantina e ci sentiamo discrimina­ti. Il sacrificio sarebbe accettabil­e se valesse però per tutti. E invece noi non possiamo aprire il locale, mentre il bar che serve il caffè al mattino può lavorare tranquilla­mente? La vicinanza fisica tra i clienti è la stessa. Il danno per una settimana di chiusura? Intorno ai 25 mila euro e mi auguro almeno che tutto finisca lì». Roberto Cominardi, patron dell’Old Fashion, è terrorizza­to dall’ipotesi che il divieto si prolunghi: «Se l’ordinanza viene prorogata, chiudiamo tutti. Ma la cosa che mi fa pensare è che come al solito in Italia si puniscono locali e discoteche facendo passare il messaggio che la notte è pericolosa. A vantaggio di chi? Dell’industria illegale del divertimen­to, dei centri sociali e di chi organizza rave party».

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