Il paese salvato dai volontari
Consegne a domicilio nel paese più piccolo della Bassa Tre casi su 900 abitanti. Disegni di speranza dai bimbi Il sindaco: vediamo un enorme spirito di comunità
ATerranova non ci sono negozi di alimentari né bancomat. Ma il paese più piccolo della zona rossa è salvo grazie ai volontari.
La speranza di Terranova è sulle pensiline dello scuolabus. Ci sono i disegni dei bambini delle elementari che ogni mattina qui aspettavano l’autobus. L’idea è stata di una insegnante e in poco tempo le fermate del bus si sono coperte di disegni: «coronavirus noi ti sconfiggeremo!».
Sono i più piccoli, del paese più piccolo di questa «zona rossa» che da quasi due settimane rappresenta l’epicentro dell’emergenza Covid-19. Sono i bambini di Terranova dei Passerini, minuscolo Comune di appena 900 abitanti che s’è trovato a dividere la zona rossa con le ben più popolose Codogno, Castiglione e Casale. Eppure qui i casi di contagio sono fermi a tre. E per fortuna non si registrano vittime. Ma qualcuno è a casa influenzato, altri ancora attendono l’esito del tampone. «La situazione può essere definita sotto controllo — spiega la sindaca Alba Resemini —. Certo, con tutte le difficoltà di vivere nella zona rossa». E più che un vivere è un sopravvivere, perché nella piccola Terranova non c’è quasi nulla: nessun supermercato, nessun negozio di alimentari, niente ambulatorio medico, nessun bancomat. Gli stessi dipendenti comunali sono per la gran parte fuori servizio.
Resta la sindaca insieme a un manipolo di una decina di volontari. Gli stessi con cui stava preparando il carnevale poi annullato in tutta fretta per l’emergenza coronavirus. «Abbiamo scoperto di avere un grande cuore, siamo una comunità più unita», dice la sindaca Alba Resemini.
E non sono parole di circostanza perché se non ci fossero loro, oggi Terranova sarebbe in ginocchio: «Fanno la spesa, la consegnano a domicilio. Portano medicinali, qui non esiste un vero nucleo, è come se fossero tutte piccole frazioni. E non c’è neppure un negozio di alimentari». Nei primi giorni d’emergenza la «Ortoverde», azienda di Terranova che confeziona insalate, ha donato un intero camion d’ortaggi. Mentre i supermercati dei paesi vicini hanno offerto prodotti di ogni tipo. In realtà un negozio d’alimentari ci sarebbe però è lontano dal paese ed è lo spaccio delle Cascine Riboni dove Paola gestisce un agriturismo e una fattoria didattica: «Forzatamente chiuse. Ma abbiamo ottenuto il permesso di proseguire l’attività perché abbiamo mucche e galline. Abbiamo uova per tutta Terranova». Le difficoltà si fanno sentire anche qui: «Ci hanno dato il permesso per far accedere il nostro lavorante, ma non è stato facile — spiega Paola —. Tutte le altre attività, come la ristorazione, le visite delle scolaresche, le consegne a Milano sono ferme. Questa cascina esiste dal 1756, la campagna ha sempre salvato le persone».
Terranova non è solo campagna. C’è la Sovegas e c’è la Sasol che fa prodotti chimici. L’impianto è stato riaperto d’emergenza per lavorare 300 tonnellate di ossido di etilene. Si doveva evitare che potessero diventare un rischio per la sicurezza. «L’incertezza maggiore riguarda il futuro — conclude la sindaca —. Cosa sarà di noi? Speriamo che una volta finita l’emergenza ci sia sostegno alle imprese e al lavoro. E aspettiamo tutti coloro che ci stanno mandando segnali di solidarietà da ogni parte d’Italia».
Nella chiesa di san Giacomo Maggiore, sabato e domenica don Abele Uggé ha detto messa a porte chiuse. «Ma ha pregato per tutti gli abitanti e le loro famiglie». Il parroco, monsignor Gabriele Bernardelli, si divide tra Terranova e Castiglione d’Adda. Lì la situazione è la più pesante di tutta la zona rossa: «Abbiamo avuto 18 vittime finora, 16 sono legate al covid-19. Tutto in 10 giorni — racconta —. Devo celebrare tre funerali, uno dietro l’altro e con i soli parenti stretti. Non potrò dar loro neppure un abbraccio, capite? Ma dobbiamo risollevarci. Oggi si sono sentite meno ambulanze, meno situazioni gravi. Speriamo sia il segnale che qualcosa sta cambiando».