Corriere della Sera (Milano)

Il manager milanese in Cina «Si vede la fine del tunnel»

Il manager italiano di Venchi con base a Hong Kong: il 24 gennaio la vita è cambiata e il fatturato è crollato «Tutti si sono autolimita­ti. Ora ci sono segnali positivi»

- di Maurizio Giannattas­io

Venchi produce cioccolato e gelati con negozi sparsi in tutto il mondo, una trentina solo tra Hong Kong, Cina e Macao. Il 24 gennaio la vita è cambiata e il fatturato è crollato: «Tutti si sono autolimita­ti. Ora i segnali sono positivi. In Cina il recupero è partito in 40 giorni con il rispetto rigido delle regole», racconta Marco Galimberti, 34 anni, general manager della società in Oriente.

Due mesi per il ritorno alla normalità. Lo ha detto il sindaco Beppe Sala al Corriere dopo aver parlato con gli imprendito­ri che lavorano in Cina al di fuori della zona rossa. Uno di questi e Daniele Ferrero, ad di Venchi, l’azienda produttric­e di cioccolato e gelati con negozi sparsi in tutto il mondo, una trentina solo tra Hong Kong, Cina e Macao con circa 250 dipendenti. In prima linea c’è Marco Galimberti, milanese, 34 anni, general manager Greater China e Asia Pacific. L’ultima volta che è tornato in Italia è stato per Natale, poi una lunga immersione durata 40 giorni. Quaranta giorni perché tutto inizia?

«Tra il 24 e il 25 gennaio. In maniera repentina. È il giorno del primo caso di coronaviru­s a Hong Kong dove lavoro e vivo. In Cina erano già più di cento, ma Hong Kong era ancora indenne. Tre giorni dopo il presidente Xi dichiara l’emergenza».

Voi cosa avete fatto?

«Ci siamo trovati in grande difficoltà. Era il capodanno cinese, un periodo di migrazioni. È stato bloccato tutto. Mancavano le mascherine, mancava l’amuchina. La situazione igienico sanitaria era tremenda. I centri commercial­i all’interno dei quali si trovano i nostri negozi ci chiedevano delle misure sanitarie che non eravamo in grado di rispettare».

Poi cosa è successo? «Dall’Italia ci hanno spedito 6.000 mascherine, altrettant­o hanno fatto dalla Cina e la nostra vita è cambiata da un momento all’altro. Discorso diverso per i cinesi che sin dall’inizio, avendo vissuto la Sars, si sono autolimita­ti e hanno imposto regole molto rigide con la chiusura di tutte le scuole anche a Hong Kong. Guardando i numeri dico che le misure sono state determinan­ti per contenere il virus. A Hong Kong durante il capodanno c’erano tre milioni di cinesi, eppure i contagiati sono stati solo un centinaio e i decessi due. Su una popolazion­e di 7 milioni».

Cosa è successo al vostro business?

«Dove i centri commercial­i hanno chiuso siamo stati costretti a chiudere i negozi. Altrimenti siamo rimasti sempre aperti anche se il problema del fatturato è stato enorme. Ci sono stati giorni e giorni dove facevamo quattro o cinque scontrini».

In un giorno normale? «Tra i 150 e i 200».

Avete licenziato? «Nessuno. Abbiamo chiesto di smaltire le ferie. Poi abbiamo ripreso».

Con quali regole?

«Molto rigide, mascherine per tutti, guanti per servire i gelati, sanificazi­oni degli spazi comuni, della cassa, di tutti i tavoli. Anche del pos. Operazione ripetuta ogni due ore con alcol al 75 per cento. Maniglie, porte, tutto quello che veniva a contatto con il pubblico».

Regole imposte dal governo o autonomame­nte?

«Non abbiamo avuto direttive specifiche, ma c’era la consapevol­ezza che era giusto fare così. Gli orientali prendono molto più seriamente la salvaguard­ia della propria salute rispetto a noi, si siedono a 2 metri di distanza, si lavano continuame­nte le mani».

Usa la mascherina?

«La metto in ufficio anche se non ero abituato. Ma vedevo che i colleghi erano a disagio e quindi l’ho indossata». Quando ha capito che le cose stavano cambiando? «Quando abbiamo visto che la curva del fatturato si stava lievemente riprendend­o. Più lentamente rispetto alla curva dei contagi, ma in movimento. Adesso a 40 giorni dall’inizio, il business riparte, i negozi sono stati riaperti man mano hanno riaperto scuole e fabbriche».

Ha mai pensato che non ce l’avreste fatta?

«Mai, anche se in certi momenti è stato massacrant­e. A Hong Kong è stata ancora più dura perché prima ci sono stati mesi di proteste politiche. Non un giorno di respiro. Poi è arrivato il coronaviru­s… L’unico vero sconforto è che non possiamo viaggiare».

 Commercio Mascherine, guanti, alcol per sanificare tutto, anche il pos, ogni due ore

Da quando manca dall’Italia?

«Da Natale».

Adesso?

«Parlo ogni giorno con i miei colleghi delle altre città cinesi. Avvertiamo tutti la stessa cosa: vediamo la luce alla fine del tunnel. Dobbiamo solo tenere duro». Progetti?

«Apriremo un negozio a Wuhan entro fine anno. Sono certo».

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Al lavoro Marco Galimberti, 34 anni, general manager di Venchi in Cina

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