Corriere della Sera (Milano)

Smart working in zona rossa

L’imprendito­re a Castiglion­e: in salotto vestiti come in ufficio

- di Stefano Landi

Èstato il primo a lasciare i dipendenti in smart working nella zona rossa: nessuno è positivo e non hanno perso un ordine.

Aveva appena fatto la doccia. Venerdì 21 febbraio. Mezza notizia sui social gli basta per capire che sarebbe cambiato quasi tutto. Lorenzo Dornetti, 38 anni, nato a Codogno, capo di una società con sede in quella che da lì a poche ore sarebbe diventata la zona più rossa possibile, Castiglion­e d’Adda. «Ho detto a tutti di restare a casa. Conoscevo il paziente 1 di vista, abbiamo la stessa età. Alle 11.30 l’ufficio era deserto».

Dornetti guida lo staff di Neurovendi­ta: una trentina di psicologi, età media 30 anni, che applicano le neuroscien­ze al mondo del marketing. Sono la prima azienda della zona rossa ad aver lanciato lo smart working. «In poche ore ho iniziato a interrogar­mi coi soci: avevamo consegne, riunioni fissate. Avevamo passato anni a costruire una credibilit­à, non volevamo mollarla», racconta. La maggior parte dei dipendenti vive nel lodigiano. «Una rivoluzion­e che dovevamo vivere per forza. Per nulla facile, dato che si convive con le normali paure.

 L’allarme Conoscevo di vista il paziente 1, abbiamo la stessa età Ho detto a tutti: non venite E alle 11.30 l’ufficio era deserto

Io ho tre figlie piccole».

Fino al giorno prima avevano costruito tutto sul lavoro di gruppo. «I partner informatic­i ci hanno aiutato a stare in tre sullo stesso file», spiega. In due giorni la macchina era avviata. «Ci siamo dati solo poche regole: facciamo riunioni spezzettat­e, un tema alla volta, difficile reggere l’attenzione. Ci vestiamo come in ufficio, per tenere l’approccio mentale di sempre e aprire solo finestre minime sui social per leggere le notizie sul Coronaviru­s. Le ore in cui lavoriamo dimentichi­amo il problema».

All’inizio contava il messaggio da mandare all’esterno. «Ci spingeva un mix di rabbia e voglia di farcela, più che l’organizzaz­ione». I clienti, soprattutt­o quelli stranieri, rimangono colpiti. Dornetti sa che non sarà facile resistere a lungo. Che lavorare nella cappa di negatività che domina il territorio richiederà sforzi sempre maggiori. «A livello imprendito­riale mi auguro che ci siano misure dure in modo da rendere possibile una ripartenza in tempi più brevi. Abbiamo dovuto imparare. Non sarà il miglior marzo di sempre, ma sarà comunque un mese utile per costruire il futuro. Abbiamo imparato che alcune cose si possono fare con la tecnologia, ma ci manca l’empatia che si crea di persona, il gruppo. Troveremo un equilibrio».

Le notizie sono due. E restano in coda, anche solo per scaramanzi­a. Ad oggi nessuno dei dipendenti è positivo. E l’azienda non ha perso un ordine.

La prospettiv­a

«Mi auguro che ci siano misure dure in modo da rendere possibile una ripartenza rapida»

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