Nel centro dell’epidemia Il parroco: ho pianto anch’io
Castiglione d’Adda ha il più alto numero di decessi Monsignor Bernardelli: la gente è ammirevole, qualche momento di nervosismo è giustificato
Domenica scorsa monsignor Gabriele Bernardelli, 58 anni, parroco di Castiglione d’Adda, il paese più colpito della «zona rossa», ha celebrato messa nella chiesa vuota. Poi è uscito sul sagrato e, in una scena carica di tensione emotiva, ha benedetto il suo paese. «Ho benedetto la comunità col Santissimo Sacramento, cioè con l’Eucaristia, che è la presenza permanente del Risorto in mezzo a noi. Volevo rendere palese, semmai qualcuno dubitasse in cuor suo, che Dio non ci aveva abbandonati, non ci aveva puniti».
Don Gabriele, le era mai capitato prima?
«Confesso che la prima volta in cui ho celebrato da solo la messa festiva di sabato 22 febbraio mi si è stretto il cuore. Mi ha fatto riflettere, molto, e continua ad essere così, sul legame tra il sacerdote, il parroco, e la sua comunità».
Castiglione, 4.600 abitanti, è il paese che sta pagando il prezzo più alto. Le vittime ufficiali da coronavirus sono 13, ma si parla di oltre
venti morti.
«I defunti in questi 15 giorni sono stati 21. È evidente che la ripercussione sulla comunità è significativa, anche perché, per fortuna, tra noi questi non sono numeri, ma volti, storie, relazioni, famiglie, ricordi, aneddoti...».
Lei li conosceva?
«Sono tutti miei parrocchiani. Con molti avevo un rapporto intenso e affettuoso. Penso ad Antonio, a Mario, ad Innocenta, a Bruno, a Francesco, a Maddalena (morta però non per aver contratto il virus). Con altri il rapporto era meno assiduo ma li vedevo in chiesa, lungo le vie del paese...»
Lei ha celebrato, con tutte le restrizioni imposte dalle norme sanitarie, i loro funerali.
«Capisco il fatto che i decessi riguardino persone con
un quadro clinico già precedentemente complesso aiuti ad esorcizzare un po’ la paura. Resta il fatto che il dolore per la loro perdita resta acutissimo .... ».
C’è anche il dolore di chi resta.
«Le modalità in cui avvengono questi decessi, ossia senza la vicinanza di un familiare (per ovvi motivi), senza poter stringere la mano al proprio caro fino a quando abbia esalato l’ultimo respiro, senza poterli neppure più vedere perché i feretri arrivano direttamente dagli ospedali ormai sigillati aggiunge dolore a dolore. Lo stesso vale per chi viene ricoverato».
I cittadini di Castiglione si sentono abbandonati?
«Devo dire, come ha già detto il mio vescovo monsignor Maurizio Malvestiti, che la gente è ammirevole. Lo stesso Presidente della Repubblica ha ringraziato i cittadini della “zona rossa” per il comportamento esemplare. Certo qualche momento di nervosismo è giustificato, l’appello del nostro sindaco alle istituzioni a fare di più per Castiglione è condivisibile. Ed è comprensibile anche che chi ha un esercizio commerciale morda il freno. In questo momento dobbiamo fare appello alle nostre risorse interiori, penso alla virtù della fortezza. Il guaio è che l’abbiamo coltivata poco».
Molti abitanti sconfortati dicono di avere paura di morire. «Non ho questa sensazione, il timore di ammalarsi sì. È possibile non perdere la speranza facendo appello a due generi: le piccole speranze e la grande speranza. Le piccole speranze sono quelle che spe
rimentiamo ogni giorno: il fatto che molti guariscano, che il sistema sanitario sia sostanzialmente efficiente, i piccoli segnali che indicano la regressione dei contagi, gli amici che sono dimessi dagli ospedali. Poi c’è la grande speranza, quella teologale, che consiste nell’essere sicuri che Dio pensa a noi, che gli stiamo a cuore e che ogni cosa concorre al nostro bene».
Lei ha scritto un toccante messaggio ai suoi parrocchiani: «Non ho vergogna a dirvi che dinanzi al tabernacolo e alla statua dell’Assunta anch’io ho pianto».
«Del parroco, come del vescovo, si dice che è “pastore proprio” della comunità che gli è affidata. A me viene spesso in mente la preghiera sacerdotale: Gesù, rivolgendosi al Padre, parlando dei suoi discepoli presenti e futuri, dice: “Erano tuoi, li hai dati a me”; e anche “Per loro io consacro me stesso”. Mi sono ritrovato in queste parole di Gesù: li hai dati a me, per loro consacro me stesso. Come potevo – e posso – non sentire in me stesso il dolore, la fatica, l’apprensione di questi giorni?