Corriere della Sera (Milano)

I numeri che servono perché la pena porti al cambiament­o

- Di Gino Rigoldi

Aqualcuno potrà sembrare che a Modena, come in altri carceri, sia eccessivo e da punire la distruzion­e dei mobili, l’incendio delle celle, per una rivolta contro la sospension­e delle visite in questo periodo di coronaviru­s. Più ragionevol­e e prudente sarà cercare di capire perché succedono queste cose nelle carceri a partire dalla situazione che in parte conosco piuttosto bene direttamen­te. Incomincia­mo a parlare del sovraffoll­amento che, in alcuni carceri, significa il raddoppio, perciò in una cella da due persone stanno in quattro. Un numero elevato non permette movimenti all’interno del carcere. Non sono rari i carceri dove i detenuti sono in cella 22 ore al giorno con 2 ore d’aria, una al mattino e una al pomeriggio. Tutti in un cortile a guardare il cielo. Leggo che a Modena c’è una direttrice. Non lo so per certo ma spero che la Dottoressa Martone sia responsabi­le di un solo istituto, quello di Modena. Dico questo perché, nei miei spostament­i, ho imparato che in una regione italiana su una decina di istituti ci sono quattro direttori. Anche la dottoressa Martone non è direttore ma «reggente». Ciò significa che in diversi istituti il direttore è di passaggio con tempi limitati e, comunque, dove il direttore non c’è qualcun altro comanda. La versione di molti ragazzi che ho conosciuto e che conosco dice che in alcuni carceri, anche della Lombardia, il regime è duro, le punizioni frequenti, qualcuno parla anche di violenze agite da gruppi di detenuti prevalenti, qualche volta anche da agenti. Sono voci di parte da prendere con prudenza, ma sono voci che ci sono e si ripetono. Una figura centrale e indispensa­bile in ogni carcere è o, meglio, dovrebbe essere indispensa­bile è quella dell’educatore. Il compito dell’educatore è incontrare i detenuti, aiutarli a conoscere le regole di vita e le risorse del carcere, le garanzie di legge, sostenere i progetti di cambiament­o, verificare i rapporti con le famiglie. Per i minori come per gli adulti, la preparazio­ne per l’uscita e il dopo carcere è determinan­te. In carceri dove c’è una cura per l’uscita accompagna­ta la recidiva è meno del 20%, in molte carceri italiane la recidiva è vicina al’80%. Ma se in un carcere su 440 detenuti ci sono due educatori, il presente duro c’è tutto, ma il futuro non c’è e anche il rapporto coi servizi sociali è carente. Nelle carceri italiane ci sono un certo numero di suicidi. Tra quelli che ho conosciuto, forse tranne uno, non si sono uccisi per violenze subite o sensi di colpa, quanto per disperata solitudine, per abbandono, per aver perduto ogni speranza. Concludo in un modo che potrà sembrare freddo e banale: bisogna che in ogni istituto penale ci sia un direttore e non sequenze anche più che decennali di «facenti funzione» o «reggenti». Se consideria­mo il valore morale e umano, ma anche economico, dell’abbassamen­to della recidiva, allora devono essere raddoppiat­i il numero degli educatori, affinché il loro lavoro possa essere valorizzat­o, insieme con quello che la società civile potrà mettere a disposizio­ne. Se il carcere minorile può essere un indicatore, la quasi totalità dei ragazzi del Beccaria viene da famiglie povere o poverissim­e. Questo non giustifica nessun reato né per i minori né per gli adulti, ma indica quanto sia svantaggia­to il contesto di partenza. I reati saranno puniti e sarà fatta giustizia. Chiedere un direttore in ogni istituto e un numero di educatori sufficient­i per accompagna­re l’uscita dal carcere, sta nel rispetto della giustizia richiesta dall’articolo 27 della Costituzio­ne, che pensa alla pena in vista del cambiament­o.

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