«Silenzio in mensa e controllo della febbre Così abbiamo riaperto»
Il modello cinese? «Conversazioni vietate in mensa e durante qualsiasi pausa, distanza di sicurezza, tutti i lavoratori con la mascherina, sanificazione degli ambienti due volte al giorno, controllo della febbre all’ingresso e un’altra volta durante l’orario di lavoro, l’ascensore che viene chiamato con uno stuzzicadenti, nessun lavoratore che abbia viaggiato nei 14 giorni precedenti in zone infette». Ma chi pensa che queste siano le misure adottate per proteggersi sul posto di lavoro nel momento clou di espansione dei contagi da Coronavirus a Wuhan sbaglia: «In Cina stiamo lavorando così dopo la fine del picco di contagi. Sono le condizioni che abbiamo dovuto rispettare dopo un mese di chiusura per potere riaprire la nostra fabbrica a Beibei, dove non c’è stato mai stato neppure un caso di contagio. Misure che in Italia non stiamo adottando neppure mentre il Coronavirus è in piena espansione».
Lo racconta al Corriere l’imprenditore brianzolo Roberto Barbieri, 51 anni, 1.200 metri di capannone nella città metropoli di Chongqing e altri quattromila metri quadrati a Barlassina, provincia di Monza e Brianza: «Lì complessivamente ci sono ad oggi 576 ammalati su 36 milioni di abitanti. Ma a Beibei, 650 mila residenti, il tasso di contagi è zero – racconta —. Eppure siamo costretti a chiudere dal 23 gennaio al 24 febbraio e oggi per tenere aperto dobbiamo osservare regole molto stringenti».
Siamo al confine est con Wuhan, l’epicentro dei contagi. «Il 22 gennaio ho le prime avvisaglie di quel che sta per succedere — dice Barbieri —. Vedo arrivare al lavoro due dei miei 55 dipendenti con la mascherina. Chiedo se è per il Covid-19 o per un malanno di stagione, visto che gli orientali sono soliti proteggersi anche in caso di influenza. Mi rispondono che è per il virus. La sera in ogni caso usciamo per la cena della società. Il giorno dopo iniziano le vacanze per il Capodanno cinese. Mentre cammino per Beibei inizio a vedere file di gente in coda per acquistare le mascherine. L’indomani esco per magiare una pizza e mi arriva la notizia che hanno bloccato 5 aeroporti e l’intera Whuan. Delle famiglie mie conoscenti sono rimaste separate. Chi era fuori per lavoro o altro non viene neppure fatto rientrare a casa. Il 24 sera prendo un volo e torno a Lentate
sul Seveso dove abito». È durante le vacanze che Barbieri apprende che la sua fabbrica di pezzi di meccanica per motori delle automobili, 2,5 milioni di fatturato l’anno, non potrà riaprire. «Alla luce di come sono andate le cose penso che la scelta del governo cinese sia risultata vincente — dice —. L’unico modo per arginare la curva dei contagi. E lo dico da imprenditore che nella propria azienda ci ha messo 30 anni di vita».
La Barbieri Sas, fondata nel 1987, fornisce a livello internazionale articoli tecnici industriali, in particolare boccole autolubrificanti o da lubrificare, filtri e silenziatori per aria compressa. Dal 2008 ha anche una produzione cinese. E nella provincia di Beibei la fabbrica è tra le prime a riaprire: «Abbiamo ottenuto l’autorizzazione all’apertura il primo giorno utile — sottolinea Barbieri —. Perché rispondenti in pieno ai requisiti molto stringenti imposti dal governo cinese. Ancora oggi, molte società nella stessa area non sono state autorizzate alla riapertura. Lì le procedure mirate al contenimento della diffusione del virus sono stringenti. Con una costruzione di procedure molto articolate in una provincia che è rimasta totalmente priva di contagi».
I giorni difficili trascorsi sul fronte cinese oggi si replicano in Lombardia: «Da cittadino ma anche da imprenditore il mio timore è che le misure adottate a livello italiano siano troppo blande — scandisce —. Io vivo sulla mia pelle il paragone con la Cina. Per arginare i contagi servono misure d’urto, altrimenti anche per chi fa impresa sarà uno stillicidio. Il modello cinese può e, forse, deve essere fonte di ispirazione. Quando la mia produzione a Beibei si è fermata ,mi è sembrata la fine del mondo. Ma è stato necessario per fare in modo che la mia fabbrica un mese dopo riaprisse».
Le regole L’ascensore viene chiamato con uno stuzzicadenti, mentre gli ambienti di lavoro sono «bonificati» di continuo