Legge sulle case popolari, lo stop della Consulta «Discrimina i non lombardi»
Gli inquilini: schiaffo alla Regione sulle assegnazioni selettive
Prima i lombardi? Eh no, di nuovo no, la Regione Lombardia va ancora dietro la lavagna, a ripetizione di diritti fondamentali, adesso che, sulle case popolari, la Consulta dichiara incostituzionale il requisito della residenza protratta per più di 5 anni, che la legge regionale 16/2016 varata dalla giunta di centrodestra pretendeva ai fini della concessione dell’alloggio di residenza pubblica: viola i principi di uguaglianza e di ragionevolezza, perché discrimina in maniera irragionevole coloro ai quali (italiani o stranieri) viene richiesto, non avendo alcun nesso con la funzione del servizio pubblico di soddisfare l’esigenza abitativa di chi abbia effettivo bisogno.
Con la sentenza n. 44 depositata ieri dalla giudice relatrice Daria de Pretis, la Consulta, nell’accogliere la questione sollevata dal Tribunale di Milano, spiega che il requisito della residenza o dell’occupazione ultraquinquennale ai fini della concessione dell’alloggio non è sorretto da un’adeguata giustificazione sul piano costituzionale per due ordini di motivi: non soltanto perché quel dato da solo non garantisce un’elevata probabilità di permanenza (come magari potrebbero fare altri più significativi elementi), ma anche e soprattutto perché il «radicamento» territoriale non può assumere un valore così assoluto da escludere qualsiasi importanza del fondamentale dato del bisogno abitativo di chi chieda un alloggio popolare. Al massimo la durata della residenza sul territorio regionale potrebbe essere eventualmente uno degli elementi da prendere in considerazione per formare la graduatoria.
«A questo punto non solo la Regione Lombardia dovrà rivedere i propri criteri di attribuzione degli alloggi, ma dovranno fare altrettanto anche molte altre Regioni, che hanno (come Piemonte e Toscana) o intendono introdurre (come l’Umbria) nella propria legislazione criteri identici», commentano le associazioni Asgi, Naga e la Cgil Lombardia, che con gli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri avevano curato il caso di un cittadino tunisino poi proposto dal Tribunale di Milano alla Consulta. «Uno schiaffo alle politiche selettive e discriminatorie delle quali la Giunta si è fatta vanto in questi anni», lo definiscono Leo Spinelli, segretario generale Sicet Lombardia, e Pierluigi Rancati, segretario regionale Cisl Lombardia, per i quali “adesso i bandi di assegnazione nei Comuni dovranno essere rifatti senza questo requisito e quelli già chiusi potrebbero essere invalidati».
«Per la Corte Costituzionale ci sono prima gli immigrati e poi gli italiani nelle assegnazioni delle case popolari», polemizza all’opposto l’assessore lombardo alla Sicurezza, Riccardo De Corato (Fratelli d’Italia), mentre il suo collega leghista alle Politiche sociali, abitative e disabilità Stefano Bolognini, si avventura a spiegare la Costituzione alla Corte Costituzionale: «Mi sembra venga sottovalutato che il requisito valeva per ogni cittadino, fosse italiano, comunitario o extracomunitario. Non c’è alcuna discriminazione: la nostra volontà è e sarà sempre quella di favorire le persone che vivono, risiedono e lavorano in Lombardia da più tempo. Non vogliamo in alcun modo che le persone arrivate ieri possano avere gli stessi diritti di chi da anni contribuisce alla crescita sociale ed economica della nostra regione». Bolognini aggiunge che gli extracomunitari regolarmente residenti in Lombardia sono il 12% (1.181.000 su dieci milioni), «ma nelle case popolari i cittadini extracomunitari assorbono mediamente il 40% delle assegnazioni di alloggi. Sto verificando se queste percentuali valgono anche per le restanti prestazioni sociali o socio/assistenziali erogate da Regione Lombardia», annuncia l’assessore. «Gratta gratta, sotto la vernice sovranista della nuova Lega emerge sempre il padano indipendentista», punge la consigliere regionale pd Carmela Rozza, ma Bolognini insiste con una domanda retorica: «Mi chiedo: dunque la Regione non ha quindi alcun titolo nel porre maggiore attenzione verso chi da più tempo risiede, lavora e contribuisce regolarmente al progresso economico e sociale dei nostri territori?».