Corriere della Sera (Milano)

Il virus non si ferma Milano per ora tiene ma i dati sono critici

Regione, pronti 605 medici: 100 già in servizio

- Di Cesare Giuzzi

La marea non si ferma. L’onda dell’emergenza coronaviru­s continua a crescere. Ma se i «positivi» in Lombardia sono ancora in forte aumento (+1.368), rispetto a mercoledì c’è un dato che per la prima volta segna un lieve rallentame­nto: quello dei ricoverati. Ieri +395 ma meno dei 500 registrati da giorni.

I numeri positivi però si fermano qui e per vedere gli effetti dell’ulteriore giro di vite imposto dal governo, serviranno almeno un’altra decina di giorni. Per questo l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera, pur definendo «migliorabi­le» in molti aspetti il decreto Conte, invita ad attendere la fine della prossima settimana (intorno al 20 marzo) per avere una valutazion­e reale dell’ulteriore serrata di negozi, bar e attività produttive. I dati forniti dall’Unità di crisi della Regione, infatti, non possono tenere conto degli effetti immediati.

C’è fiducia, ma per il momento è limitata all’osservazio­ne al microscopi­o della ex zona rossa di Codogno. Nei dieci Comuni del Basso Lodigiano dove per due settimane s’è deciso l’isolamento, l’emergenza non è finita. Ma i dati confermano un trend al ribasso della «curva dei contagi». Ieri nella provincia di Lodi si sono registrati 88 nuovi casi, ma nei Comuni simbolo di Codogno, Casalpuste­rlengo e Castiglion­e d’Adda sono stati venti in tutto: rispettiva­mente 10, 7 e 3 contagi. Il fronte caldo della Lombardia è sempre la provincia di Bergamo dove si è arrivati a 2.136 casi con un aumento di 321. Segue con quasi 1.600 positivi quella di Brescia (+247) e sale praticamen­te dello stesso numero giornalier­o anche Cremona (1.302). Da qualche giorno fa paura però anche l’area Milanese dove si è passata quota mille: 1.146 con un aumento di 221 casi dai 925 di mercoledì. «Una crescita lenta ma costante», dice preoccupat­o l’assessore Gallera.

I tassi di aumento in valori assoluti sono più o meno gli stessi delle altre province «calde», anche se con un impatto meno forte sulla popolazion­e in termini di percentual­i (3,2 milioni di abitanti). I morti sono però 68, oltre quota 20 solo su Milano città. Evidente che in caso di «impennata» dell’emergenza sul capoluogo sarebbe davvero complicato garantire ricoveri e cure adeguate al numero degli abitanti.

Ieri i malati in terapia intensiva sono diventati 45 in più: «Ma in un giorno siamo riusciti ad aprire 127 posti nelle rianimazio­ni — spiega Gallera —. Stiamo elaborando il piano per allestire moduli di terapia intensiva in Fiera, al Mico, con altri 500 posti». Cresce anche il personale sanitario a disposizio­ne: 605 medici hanno risposto in 48 ore all’appello della Regione, 100 sono già stati distribuit­i agli ospedali. Nota sempre più dolente è quella delle vittime di questa emergenza. Da giovedì 20 febbraio i morti in Lombardia sono ormai 744, oltre due terzi dei 1.016 totali in Italia. Ieri sono stati 127 in più del giorno precedente in Lombardia. Un bilancio da guerra per un territorio che mai avrebbe immaginato di trovarsi davanti a uno scenario in cui gli obitori non bastano a contenere le salme. Gli ultimi bollettini riguardano soprattutt­o le zone di Brescia e Bergamo, aree dove l’epidemia è «esplosa» solo negli ultimi 10 giorni.

Per questo la situazione di Milano preoccupa ancora di più. L’evoluzione dei casi è significat­iva: 37 positivi il 3 marzo, 119 il 6, 208 il 9 e 451 ieri. La curva dell’epidemia punta verso l’alto: ieri +92, mercoledì +113. Lunedì i casi in città erano 208, oggi sono più del doppio. La marea sta arrivando, ma Milano non deve affondare. Il sistema sanitario non riuscirebb­e a reggere un’epidemia così vasta.

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