Il personaggio
Il musicista Pino Scotto ripercorre i suoi quarant’anni di carriera fra heavy metal, tv e volontariato
«Questa quarantena è un vero incubo, Milano sembra una città spettrale. Nella mia zona, via Cadore, zona Porta Romana, la gente sembra scomparsa ed è strano non vedere più tutto quel traffico per strada. Si sentono addirittura i cinguettii degli uccellini e l’aria sembra più pulita. La diminuzione dello smog è uno dei pochi aspetti positivi di questo isolamento, e una volta finita, spero che questa emergenza faccia ripensare a una viabilità più ecologica, con meno auto e più mezzi pubblici».
Con un instore tour annullato e i prossimi live a rischio di annullamento, il settantenne rocker Pino Scotto, si adegua al cambiamento forzato dello stile di vita, riflettendo sulla trasformazione della sua città adottiva, e parlando del suo nuovo disco «Dog eat dog», in uscita il 27 marzo, anticipato dal singolo «Don’t waste your time». «Questo brano — racconta — nasce da un episodio che ho vissuto in prima persona. Soffrivo da tempo di bronchite, sono andato a farmi visitare e il medico mi ha consegnato una lastra dove si vedeva chiaramente una macchia sui polmoni. Solo dopo diverse ore si è reso conto di avermi consegnato un referto sbagliato. Da quel momento, per la strizza ho quasi smesso di fumare e anche di bere. Quello che mi è successo mi ha fatto capire che il tempo che abbiamo a disposizione non è infinito, ed è per questo che non dobbiamo buttarlo via ma usarlo al meglio». Con i suoi lunghi capelli corvini sul viso da guerriero indiano, la maglietta nera e gli occhiali scuri, l’ex frontman dei Vanadium, portabandiera dell’heavy metal made in Italy, ha riempito il suo tempo per scrivere un disco diverso dai precedenti. «Mi è sempre piaciuto contaminare la mia musica — spiega — ma sempre mantenendo un sound coerente. In questo disco parto dal progrock anni Settanta, e passando dal blues, arrivo fino al trash metal. Undici pezzi autobiografici, come “One world one life”, un brano dedicato a mio figlio, a come la paternità ti cambi la vita, “Same old story” rivolto a chi mi vuole cambiare il look e il mio stile di vita, oppure “Talking trash”, dedicato invece a chi parla male da una tastiera». L’unico genere che rifiuta, è la trap. «Ho aperto concerti dei Deep Purple, Motorhead,
Black Sabbath, Iron Maiden. Ho lavorato con rapper come J Ax e Club Dogo, ma la trap è la morte della musica». Scotto è un burbero del rock con il cuore sensibile, che dopo aver conosciuto Caterina Vetro, il medico milanese che ha fondato il progetto Rainbow, ha deciso di dare il suo contributo per i bambini maltrattati e abusati di tutto il mondo e per quelli che vivono nella discarica di Coban, in Guatemala. «Non solo in questo periodo, sarebbe bene se molti seguissero il mio esempio, rivolgendosi solo ad associazioni affidabili che hanno gia dimostrato il loro valore».
«Nella mia zona, in via Cadore, l’aria è più pulita In futuro pensiamo a ecologia e ambiente» I temi delle canzoni spaziano dalla paternità agli stili di vita fino agli «hater» da tastiera