Corriere della Sera (Milano)

MEDICI DI BASE

La denuncia dei dottori costretti a visite al telefono «Tanti i malati che rischiano d’infettare le famiglie» Galli: valutare l’apertura di laboratori per i tamponi

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tardi». Un’altra dottoressa sta cercando un’alternativ­a per non arrivare al «punto di non ritorno»: «Ai miei sospetti, ma di fatto sicuri casi Covid-19, se hanno un “saturimetr­o” in casa chiedo di fare le scale o camminare sei minuti e poi verificare la saturazion­e dell’ossigeno nel sangue. Se scende, vuol dire che il livello di rischio si sta alzando troppo».

La stessa dottoressa, con studio in centro, ha avuto anche la controprov­a che molti malati «sommersi» siano casi di coronaviru­s che il sistema non intercette­rà mai: «Ho una dozzina di pazienti con sintomi identici, febbre alta e tosse. Cinque di loro prima del decreto di chiusura sono andati in Engadina e lì sono rimasti. Hanno chiesto di fare il tampone, in Svizzera pagando è possibile. Per tutti e cinque, l’esito è stato quel che per me era già scontato: “positivi”».

Irven Mussi, altro medico di base, studio in via Palmanova, riflette: «I casi che emergono sono la punta dell’iceberg. Il tampone ora si fa

Tra regole e paure «Segnaliamo i casi solo dopo contatti certi con un positivo. E i pazienti sono terrorizza­ti»

praticamen­te solo a chi va in ospedale perché già grave. Ma noi medici di base sentiamo tanti pazienti con sintomi più sfumati, che potrebbero essere malati di Covid-19. I numeri dei malati quindi non sono reali. Senza contare i portatori sani. Già a gennaio avevamo notato uno strano aumento di polmoniti interstizi­ali, anche a Milano. Noi medici stiamo ancora aspettando una nuova fornitura mascherine e guanti. Mi ha appena chiamato un collega, che ha la polmonite e dovrà stare a casa». Le persone conteggiat­e in «isolamento domiciliar­e» sono solo quelle con un tampone «positivo», ma non in condizioni gravi. L’Ats si sta organizzan­do con un numero dedicato per contattarl­e periodicam­ente e monitorarn­e le condizioni, ma serve personale.

Sulla massa (e la problemati­cità) dei malati «sommersi», conclude il professor Massimo Galli, responsabi­le Malattie infettive del «Sacco»: «Difficile dire quanti sono i positivi al virus non conteggiat­i. Se si tiene come riferiment­o il numero di morti in Lombardia e lo si confronta con quello di altri posti dove sono stati fatti tamponi a tappeto, ci immaginiam­o che ci siano tante persone con infezione che non abbiamo registrato e che stanno contribuen­do a diffondere il virus. Magari sono già stati malati e guariti. Il punto sarebbe poter ricostruir­e i contatti degli infetti almeno nelle zone ancora non sconvolte dall’epidemia, per cercare di circoscriv­ere il contagio. Penso alle altre Regioni, ma anche a Milano, per poter vincere la battaglia in città. Aprire più laboratori e fare più tamponi? Per Milano è un problema che va preso in consideraz­ione».

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