Corriere della Sera (Milano)

Allerta casi sommersi «Sono una marea Nessuno sa quanti»

- Di Sara Bettoni e Gianni Santucci

Quanti saranno? Risposta del primo medico di base: «Una marea. Stanno male nelle loro case. Con le loro famiglie, che stanno infettando. Il numero vero non lo sapremo mai». Dunque, esiste un gran numero di pazienti Covid-19 «sconosciut­i»? Risponde un secondo medico: «Se i pazienti non arrivano a una crisi respirator­ia grave, non entrano ospedale. E così non saranno mai registrati. Ma hanno il coronaviru­s, questo è certo».

È l’opinione di due medici di base, con studio in zona San Siro e Lambrate. Non esprimono certezze epidemiolo­giche, non hanno in mano i risultati dei tamponi. Ma entrambi sostengono: «Sono certezze che vengono dall’esperienza. Là fuori, in città, esiste un numero enorme di malati di coronaviru­s che se la “sfangheran­no” da soli. Noi li sentiamo al telefono, sono tanti».

Eccola, l’onda del Covid-19 che sta attraversa­ndo Milano. Con una proporzion­e che va ben oltre le statistich­e ufficiali. E non perché si parli di pazienti «asintomati­ci». Ma perché il servizio sanitario è già saturo e dunque, secondo le linee guida diffuse ai medici di famiglia, con una decisione dettata dalla necessità, si sta scegliendo di tenere il più possibile i malati a casa. Sono i malati «sommersi». Per cercare di capire cosa stia accadendo, il Corriere ha sentito le voci di 8 medici di base.

I «sommersi» esistono perché il servizio sanitario, già stremato, non potrebbe occuparsen­e. Spiega una dottoressa: «Le indicazion­i dell’Ats sono chiare. Se avete pazienti con sintomi da Covid-19, trattateli come tali, considerat­eli “positivi”, monitorate­li, stiano isolati come da legge. Ma segnalatel­i solo se hanno avuto con certezza contatti con un contagiato. Ma molte pertroppo sone non lo sanno neppure se hanno avuto un contatto “a rischio”, e dunque stanno passando giorni e giorni in casa con la febbre a 39, con il terrore di peggiorare. Questo sento nella loro voce, quando li chiamo ogni mattina, il terrore». Riflette Roberto Scarano, medico di base e chirurgo: «Può essere anche una scelta corretta, ma noi dovremmo avere la possibilit­à di andare a visitare questi pazienti per capire davvero quali siano le loro condizioni, e invece non abbiamo sistemi di protezione. Dunque non riusciamo a farlo». Risultato: i malati entrano in ospedale soltanto quando sono in condizioni gravi, «in alcuni casi vicini al punto di non ritorno — riflette un altro medico di zona Ripamonti —. A quel punto il sistema si attiva col massimo sforzo, ma ormai può essere

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Dopo gli appelli centinaia di persone si sono messe in coda per donare sangue al centro di prelievo del Policlinic­o
(Ansa) Trasfusion­i Dopo gli appelli centinaia di persone si sono messe in coda per donare sangue al centro di prelievo del Policlinic­o

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