Il dramma delle ambulanze «In fila davanti agli ospedali»
«C’è una linea rossa del 118 sulla quale giriamo immediatamente i casi che ci risultano gravi. Poi ce n’è un’altra che serve da filtro per quelli dubbi. L’operatore ha dieci minuti di tempo per fare le domande chiave. Così gestiamo giorni con oltre 400 mila chiamate». Parla Alberto Zoli, 64 anni, storico direttore generale dell’Areu che gestisce il sistema del 118. La prima linea dell’emergenza.
«Stai a casa: il rischio è altrimenti che l’ambulanza non riesca a venirti a prendere in tempo nonostante sforzi immani». Alberto Zoli, 64 anni, storico direttore generale dell’Azienda regionale Emergenza Urgenza (Areu) della Regione Lombardia accetta di parlare, per la prima volta, con il Corriere della Sera interrompendosi spesso durante le varie telefonate. Alle quattro del pomeriggio il capo dell’Areu sta seguendo il trasferimento in elicottero di un paziente da Cremona a Trento, un altro da Bergamo a Trento, un altro ancora in aereo da Bergamo a Palermo (a fine giornata i malati di Covid-19 trasferiti saranno 30); poi alle 8 di sera il medico raggiunge via della Boscaiola, dove sono allestite 80 postazioni per smistare le richieste d’aiuto. È una nuova centrale operativa in aggiunta alle 4 già esistenti a Milano, Pavia, Bergamo e Como: il suo compito è assistere i malati dubbi in modo da non inviare ambulanze se non strettamente necessario. La drammaticità della situazione e allo stesso tempo la macchina poderosa messa in campo è tutta nei numeri.
Il cittadino chiama il 112: in quanto tempo risponde?
«Prima del Coronavirus in 3-4 secondi, adesso è capitato anche in 20 minuti. Ci sono stati giorni con oltre 400 mila chiamate. Ho dovuto mandare uno dei miei collaboratori in aereo a Paternò, Sicilia, per riconvertire almeno in parte il centralino per le prenotazioni delle visite e degli esami medici in centrale di risposta per il Coronavirus. Abbiamo formato gli operatori in quattro ore. Per aiutarci».
Quanto dura il colloquio con l’operatore del 112?
«Per essere i più tempestivi possibile abbiamo messo a punto un sistema nuovo: c’è una linea rossa del 118 sulla quale giriamo immediatamente i casi che ci risultano gravi; poi c’è un’altra linea che serve da filtro per quelli dubbi. L’operatore ha dieci minuti di tempo per fare le domande chiave (“Quant’è la febbre? Che tipo di tosse ha? Come respira?”). È un modo per fare uscire la ambulanze solo quando serve. Spesso richiamiamo anche il paziente per capire l’evolversi della situazione».
Un’ambulanza in quanto tempo arriva?
«In città prima dell’epidemia arrivava in 8 minuti, adesso può capitare che ci metta anche un’ora e più».
I mezzi in campo?
«Erano 400, oggi sono 500 per 30 mila soccorritori. Ci aspettiamo altre 50 ambulanze in arrivo dal resto d’Italia». Le missioni al giorno?
«I numeri delle nostre statistiche sono divisi in due voci: in tempo di pace e in tempo di guerra. Prima e dopo. A Bergamo erano 190, oggi sono 490 al giorno; a Brescia 226 contro 380; a Lodi 57 contro 154, e così via. In tre settimane abbiamo trasportato quasi 80 mila pazienti». Un’immagine frequente di questi giorni drammatici sono le ambulanze in fila fuori dai Pronto soccorso. Perché?
«Gli ospedali sono a loro volta strapieni. Motivo per cui per sbarellare un malato ci impieghiamo anche 2 ore e mezzo. Fino a un’ora in più». Tempi che s’allungano a dismisura.
«Bisogna considerare che dopo ogni missione nelle aree più critiche è necessario procedere alla sanificazione completa del mezzo che richiede fino a un’ora di lavoro prima del ripristino dell’operatività».
Ma il tempo è fondamentale per sconfiggere questo maledetto virus.
«Il problema è che il Covid19 è subdolo. Un paziente può aggravarsi in un tempo rapidissimo in cui va in carenza d’ossigeno. In questi casi se non arriviamo subito uno può morire. È il motivo per cui ripetiamo: state a casa, altro che jogging. È una questione di vita o di morte».