Corriere della Sera (Milano)

«Siamo orgogliosi del nostro Paese altruista e sensibile»

L’arrivo dei sanitari cinesi. I connaziona­li: molti ricordano che ci avete soccorso dopo il terremoto «Ma noi viviamo l’isolamento come una religione»

- Di Stefano Landi

Più o meno si parla di un mese. Quello in cui i cinesi a Milano sono passati dall’essere considerat­i untori a salvatori della patria. Il salto è enorme, ma per certi versi gli unici a non sorprender­si sono proprio loro. A Milano non operano medici cinesi. Quindi, nel giorno in cui i dottori cinesi (7 più 3 infermieri e due tecnici) sbarcano in Lombardia in assetto da guerra, come rinforzi nella battaglia al coronaviru­s,, per contiguità profession­ale, la parola spetta alle farmaciste. Angolo tra Paolo Sarpi e via Lomazzo: strade (qui) davvero deserte. Fefronte derica, 26 anni, 20 passati in Italia, lavora in una delle poche attività aperte in città: «Se mi chiede come mi sento oggi, la risposta è più sicura. Eppure molti miei connaziona­li vedendo le misure soft adottate dall’Italia all’inizio sono scappati in Cina perché avevano paura», racconta mascherina alla bocca. Il riferiment­o per nulla casuale è ai rinforzi in arrivo dal suo Paese. Uomini, ma anche farmaci, mascherine. «Me lo aspettavo, fa parte della nostra cultura. Come anche quella di vivere l’isolamento come una religione», aggiunge. Molti qui nel quartiere ricordano di come in passato tante volte l’Italia abbia aiutato la Cina sul

sanitario. In particolar­e in occasione del terremoto di Sichuan del 2008 in cui morirono quasi 70 mila persone, quando tanti medici italiani andarono a dare una mano. Federica oggi parla di ritrovata unità. Di certo quella che non dimostrano quelli che ancora sfidano i divieti. Pochi metri più in là, in piazzale Baiamonti, altro giro, altra cattedrale nel deserto. «Non stiamo parlando di una malattia da curare, ma di un’epidemia da gestire e in questo senso noi abbiamo un’esperienza da tramandare», spiega Wen. La Cina ha vissuto tutta la fase dell’epidemia dalla A alla Z ed essendo arrivata alla fine dell’alfabeto, qualcosa da insegnare ce l’ha. E poi i cinesi hanno capito che nell’ottica di una ripartenza, oltre a mettere in quarantena quelli che entrano in Cina, meglio dare una mano perché il resto del mondo si rimetta in piedi per non vivere di solo isolamento. La farmacia è deserta. Però ogni tanto qualche anziano passa. «Devono capire che non si esce per le cose non strettamen­te necessarie.

Negli ultimi giorni ho percepito una responsabi­lità crescente. Ma continua a farmi effetto vedere la gente vicina sui mezzi pubblici. Molti non usano neanche la mascherina». Quello della protezione del volto resta un tema veramente divisivo. Qualcuno ricorda di come a gennaio, nel periodo del boom della psicosi, alcuni cinesi venissero insultati perché indossavan­o la mascherina.

Anche quando sul tema di isolare i cinesi si alzò il polverone politico. Tema superato dal fatto che i cinesi stavano (e continuano) a restare a casa davvero. Al punto che se c’è un membro della famiglia che è costretto a uscire di casa per lavoro, o altri gravi motivi, deve fare le valigie e vivere separato dalla famiglia. Se non ci sono le condizioni, tocca lasciare il lavoro. «Anche per questo io sono orgogliosa del mio Paese. Voi probabilme­nte conoscete una Cina diversa. Siamo un Paese altruista, sensibile. Le dico solo che in questi giorni i miei connaziona­li regalano mascherine per strada a Chinatown. In farmacia, nonostante gli ordini, non ne abbiamo».

La farmacista «Dopo aver affrontato il contagio dalla A alla Z qualcosa da insegnare l’abbiamo »

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 ?? (De Grandis) ?? Con le mascherine In alto, l’arrivo a Malpensa dei medici cinesi con Fabrizio Sala. Sopra, Federica nella sua farmacia in via Sarpi Sotto, Wen in piazzale Baiamonti
(De Grandis) Con le mascherine In alto, l’arrivo a Malpensa dei medici cinesi con Fabrizio Sala. Sopra, Federica nella sua farmacia in via Sarpi Sotto, Wen in piazzale Baiamonti
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