«Noi, familiari dei malati Angoscia e zero contatti con i nostri cari in terapia»
L’appello di Michela: «Il dramma di chi muore in corsia senza aver vicino gli affetti di una vita» E il miracolo del nonno che ha sconfitto il virus
LODI «Costretti a perdere ogni contatto diretto con i loro cari, dopo averli salutati frettolosamente e con la pena nel cuore, preoccupati, spesso prossimi futuri malati e doppiamente fragili perché ignari. Chi pensa ai familiari dei malati?». L’appello le parte dal cuore e atterra sulla sua bacheca Facebook, la stessa da cui nemmeno due anni fa attaccava il Comune di Lodi prestando il volto alla protesta dei genitori stranieri per il «caso mense». Michela Sfondrini, la libraia lodigiana del Coordinamento Uguali Doveri che difendeva i bambini stranieri di Lodi, è stata investita dal coronavirus «con la violenza di uno tsunami». In meno di dieci giorni il Covid-19 le ha portato via il padre Ambrogio, stimatissimo ex dirigente della Banca Popolare di Lodi nel periodo del passaggio da Mazza a Fiorani e che per poco, nel 2000, non fu candidato a sindaco della città per il centrodestra. Pochi giorni fa si è aggravata anche la mamma, che da anni lavora al suo fianco in libreria: quando la polmonite interstiziale bilaterale è diventata insostenibile, l’hanno portata in lettiga a Lodi, e di lì al policlinico di San Donato Milanese.
Chiusa in casa da una quarantena volontaria che dura da 18 giorni («Nessuno mi ha ancora fatto il tampone», dichiara), la Sfondrini ha affidato ai social il suo messaggio. Perché il «dramma è di chi muore in un ospedale senza avere nemmeno la possibilità di dare un saluto ai suoi famigliari — racconta —, ma è anche quello dei parenti che improvvisamente si vedono portar via la madre, o il padre, e non ne sanno più nulla».
Lo sfogo di Michela Sfondrini è la voce dei «parenti dei malati», che stanno a casa passando tutto il giorno in attesa di quell’unica telefonata quotidiana, «quando l’ospedale ti chiama e ti dà qualche notizia sporadica. Che sia un miglioramento, un peggioramento o che debba comunicare l’ipotesi peggiore. Per chi è in attesa di quella telefonata è uno strazio».
Sua mamma, per fortuna, sembra stare un po’ meglio. È stata portata via in ambulanza meno di una settimana fa all’ospedale di Lodi. «Ho ricevuto una sua telefonata dalla lettiga mentre la trasferivano a San Donato, altrimenti non l’avrei saputo. I sanitari stanno combattendo una guerra di frontiera e dobbiamo dire loro solo “grazie” ma è un problema che non vi sia una struttura dedicata a informare i parenti. Non dovrebbe essere possibile che una persona venga presa in carico dall’ospedale di Lodi e dalla stessa struttura venga trasferita altrove senza che una sola telefonata venga fatta per dire dove questa persona è stata destinata e in quali condizioni. E poi restiamo appesi a quell’unica telefonata giornaliera, con la speranza che ci dicano “sta meglio”».
Non è l’unica in questa situazione. Un’altra collega del Coordinamento Uguali Doveri, sempre in prima linea per i diritti dei bambini che siano gli stranieri esclusi dalle mense o quelli delle primarie Arcobaleno di Lodi costretti a studiare in aule allagate, ha dovuto salutare in fretta e furia il padre. Anziano, portato in ospedale, positivo al Covid, trasferito in altra struttura. «Ci siamo anche noi — ricorda Michela Sfondrini —, siamo tanti e sempre di più. Chiediamo solo che ci venga risparmiato quel pezzo di pena che corrisponde al non sapere». La trincea non è solo nelle terapie intensive ma anche nelle case dei parenti.