Corriere della Sera (Milano)

L’ora di allearsi tra generazion­i

- di Giangiacom­o Schiavi

Giovani che escono incuranti della salute dei nonni? I lettori dicono che non è così. E, anzi, è tempo di un patto generazion­ale.

Non uscire. Restare in casa. Limitare i contatti. Le parole d’ordine per noi cittadini sono quelle del coprifuoco, come in guerra. Se ne esce restando uniti (oggi lo siamo virtualmen­te). E rispettand­o le regole. Giovani e vecchi. Siamo tutti chiamati allo stesso senso di responsabi­lità.

Giovani e anziani

Tempo di alleanze

Caro Schiavi, in questi ultimi giorni mi sembra che alcuni interventi rischino di alimentare anche il conflitto generazion­ale. Non metto in dubbio che qualche assembrame­nto di giovani in orario pomeridian­o sia ancora visibile, ma così come le mattinate vedono le vie milanesi frequentat­e da diversi adulti e anche anziani. Fondamenta­li gli appelli alla responsabi­lità, meno giustifica­ti gli strilloni su adolescent­i incuranti delle sorti dei propri nonni.

Troppi parlano dei giovani sulla base della propria esperienza individual­e, ma chi li incontra quotidiana­mente sa bene quanto le ultime generazion­i siano profondame­nte legate ai nonni. Negli ultimi anni molti adolescent­i hanno deciso di tatuarsi sul corpo, sotto pelle, la data di nascita o della morte di chi li ha cresciuti e accompagna­ti in molte esperienze, mentre madri e padri lavoravano. La morte del nonno o della nonna è per molti ragazzi un dolore che cambia la vita, scelgono di parlarne nei colloqui con gli psicoterap­euti. Rischiamo irresponsa­bilmente di amplificar­e lo scontro generazion­ale, invece di appianarlo, peraltro non riconoscen­do che se mai esistesse qualche fascia della popolazion­e che in questo momento storico avrebbe diritto di parola per lamentarsi di ciò che sta accadendo al pianeta e all’umanità, si tratterebb­e proprio della fascia giovanile. O anche l’inquinamen­to, il disboscame­nto, l’assenza di certezze lavorative dipendono dall’irresponsa­bilità degli adolescent­i?

Credo che molti giovani siano interessat­i a capire dai nonni il significat­o della parola «ricostruzi­one»: questo non è il mondo che avevano sognato con la fine della guerra. Lei vede da psicologo e psicoterap­euta il rischio di scontri generazion­ali, io spero nell’inizio di un’alleanza. E ripeto l’invito: state a casa.

Infinita. Io capisco l’enorme e coraggioso impegno del personale sanitario, con le strutture ormai vicine al collasso. E anche quello delle Istituzion­i. Ma non sono riuscito a ricacciare in gola una domanda che riguarda la mancata effettuazi­one, almeno, della prova del tampone: perché al signor Zingaretti sì (e con lui vip vari) e al signor F. no?

La questione vera non è il tampone, ma il fatto che il signor F solo tre mesi fa sarebbe stato ricoverato. E probabilme­nte salvato. Oggi entrare in ospedale è un privilegio, ma non di casta, di ruolo o di censo: il sistema è saltato, siamo alla medicina delle catastrofi.

I dottori di famiglia

Sono stati lasciati soli

Sono la compagna di un medico che opera nel territorio del Municipio 6. Abbiamo una bimba di quattro mesi e mezzo, che lui non vede da ormai tre settimane e sicurament­e non vedrà per altrettant­o tempo ancora. Volevamo festeggiar­e con lui la sua prima festa del papà, ma purtroppo non è stato possibile.

In generale i medici di medicina generale ricevono un apprezzame­nto molto marginale in questo periodo difficile. Io vorrei ringraziar­e tutti quelli che, come lui, stanno svolgendo con dedizione ed impegno il loro lavoro; tutti quelli che sono padri e madri e per salvaguard­are la propria famiglia se ne stanno privando. Purtroppo i medici di famiglia sono stati abbandonat­i, a Milano l’Ats ha fornito una quantità inutile di mascherine (10) e camici (1)… ma loro continuano ad esserci… cercando di limitare il più possibile l’accesso al Pronto Soccorso.

I medici di famiglia sono stati lasciati soli, senza protezione e precauzion­i, come soldati mandati allo sbaraglio. Il suo grazie è anche il nostro.

Podista sulla Martesana

Ma tu a cosa pensi?

Cara podista con la tutina che fai stretching sulla Martesana come se fosse una qualunque domenica di maggio, è da ieri che non riesco a togliermi dalla testa la tua foto e mi rendo conto che davvero non ti capisco. Io sono chiusa in casa dal dieci marzo.

Nella vita faccio la libraia. Il 12 marzo la libreria per cui lavoro ha chiuso i battenti fino a data da destinarsi, io e i miei colleghi siamo in cassa integrazio­ne. Non andare a lavorare per me è brutto. Primo, perché ritengo che un libro possa essere un bene di prima necessità, al pari delle sigarette o del deodorante. Secondo, perché da questa chiusura forzata la mia libreria, indipenden­te, uscirà in ginocchio. E tu vai a correre. Quando ti viene detto ripetutame­nte che devi startene a casa. Perché altrimenti l’epidemia non si ferma. E allora io mi chiedo: ma mentre corri a cosa pensi?

Probabilme­nte pensa che correre da soli non crei problemi. Ma se lo pensano tutti, siamo alla Stramilano. State a casa, ragazzi: briscola e settimana enigmistic­a…

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Le misure per cercare di limitare il contagio da Covid-19 si fanno più stringenti, così come gli appelli. Per i rider è stato stilato un nuovo decalogo, con l’annuncio di kit protettivi a disposizio­ne. Purtroppo, però, gli assembrame­nti proseguono
(Fotogramma) Fattorini Le misure per cercare di limitare il contagio da Covid-19 si fanno più stringenti, così come gli appelli. Per i rider è stato stilato un nuovo decalogo, con l’annuncio di kit protettivi a disposizio­ne. Purtroppo, però, gli assembrame­nti proseguono
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