«In giro la metà dei furgoni e un’auto privata ogni 4» Attivi 600 mila lavoratori
Telefonata tra il governatore Fontana e il premier Conte: esercito sulle strade per i controlli Allo studio il blocco di cantieri e uffici. La Procura: le violazioni sono reati, puniremo Da Buccinasco a Opera e Cesano, ordinanze dei sindaci su passeggiate
Una settimana fa, venerdì 13 marzo, in pieno coprifuoco da pandemia, per le strade di Milano circolava più d ’un veicolo commerciale su due. Per la precisione il 55 per cento di un normale giorno di lavoro. È la mobilità a Milano in tempi di coronavirus, prima e dopo le strette volute da governo, Regione e Comune. I dati arrivano dall’assessore Marco Granelli che li ha raccontati ai politici di Palazzo Marino nella prima Commissione consiliare in streaming della storia del Comune. Nelle due settimane d’esordio del virus, dal 24 febbraio fino al 7 marzo, i dati del traffico di Milano raccontano di una città rallentata ma tutt’altro che ferma. Meno 15-20 per cento di traffico privato, meno sette per cento di auto e furgoni commerciali, metà dei passeggeri consueti su tram e metrò.
Dopo il decreto del governo — il nuovo e più deciso giro di vite, con la serrata di tutte o quasi le attività economiche e produttive non essenziali— , ecco la svolta anche sul fronte del traffico. Alla fine della prima settimana di quarantena dura, appunto venerdì scorso, la circolazione di auto private era scesa del 63 per cento (sempre in rapporto a un giorno feriale), il traffico complessivo del 75, mentre la quota di passeggeri dei mezzi pubblici precipitava al 10 per cento del totale (circa 140 mila, secondo le stime). Con una specifica però: nella primissima fascia oraria, quella dell’alba, dalle 6 alle 7 del mattino, il calo è stato «solo» del 70 per cento. Ecco la ragione dei parziali sovraffollamenti registrati in metrò lunedì e martedì a fronte alla riduzione del 40 per cento delle corse. Il popolo dei lavoratori dei servizi — badanti addetti alle pulizie, infermieri — ha affollato le poche carrozze del metrò a disposizione ai capilinea. Una questione risolta quasi del tutto anticipando l’inizio delle
Granelli Sulle linee dell’Atm abbiamo obbedito alla Regione Ma quando abbiamo visto situazioni di rischio siamo intervenuti
corse alle 5.40. Nella scorsa settimana sono crollati anche gli utilizzi dei taxi, precipitati a meno 83 per cento, e di tutti i mezzi in sharing: auto, bici, scooter, monopattini (meno 80 per cento). L’unica categoria di trasporto che non ha praticamente risentito del coprifuoco è stata quella dei bus turistici, la cui circolazione in città già a fine febbraio era calata del 97 per cento (fino ad arrivare al meno 100 per cento di venerdì scorso).
Ma quante sono le persone che avrebbero veramente bisogno di muoversi in questo periodo di emergenza e di vita sospesa? Secondo una stima del Dipartimento mercato del lavoro della Cgil, nell’intera area metropolitana si può ipotizzare che siano più o meno 600 mila i lavoratori delle tre filiere chiamate a svolgere i propri compiti anche di fronte alle limitazioni imposte dai decreti del governo. «Si tratta degli addetti al settore alimentare, alle pulizie e alla sanificazione degli ambienti, e ovviamente alla rete sanitaria — spiega Antonio Verona — ma bisogna considerare che quando si parla di filiere si parla anche di un inevitabile indotto di persone che lavorano ai servizi collaterali, dalla logistica ai trasporti». Nella Grande Milano, statistiche alla mano, gli occupati complessivi sono circa 1 milione e 460 mila.
A parte i 600 mila attivi per decreto, cosa fanno gli altri? «Possiamo individuare un blocco di altre 400 mila circa che in base alle misure restrittive non possono proprio lavorare e quindi dovrebbero stare fermi — spiega ancora l’esperto di numeri della Camera del lavoro — e in questo numero sono compresi gli addetti a bar, ristoranti, palestre, servizi alla persona, negozi e tutto ciò che non è stato considerato indispensabile per questo periodo». E infine c’è un terzo gruppo, di 400450 mila persone occupate in settori che non rientrano in nessuna delle due categorie precedenti: «Sono attività non necessarie ma neanche vietate, aziende tenute aperte per ragioni sostanzialmente economiche — sottolinea Antonio Verona — e non più di un terzo sono quelli che agiscono in smart working. Tutti gli altri si aggiungono al conteggio di coloro che sono costretti a muoversi. Con tutte le implicazioni di rischio sanitario ben note». E a questo proposito Cgil, Cisl e Uil chiedono «un intervento del governo o della Regione per uniformare gli orari di apertura, prevedendo una regolamentazione del nastro orario settimanale e la chiusura domenicale».
Verona Si può individuare un blocco di circa 400 mila persone che dovrebbero restare a casa in base alle misure restrittive
Il «debutto» online Assessore in streaming per la Commissione consiliare: è la prima volta che succede