Policlinico, terapia intensiva nel padiglione da demolire
Il presidente: è uno dei momenti più drammatici «Una terapia intensiva nel padiglione da demolire Ma il maxi-progetto andrà rivisto: serve flessibilità»
La peste, il vaiolo, le guerre, i bombardamenti e tanto altro ancora. In sei secoli di storia il Policlinico di Milano ha affrontato varie emergenze sanitarie e anche ora, in questo tragico 2020, non si tira indietro. Come da tradizione si prende cura dei milanesi e i milanesi lo sostengono. Insomma, rimane di nome e di fatto la Ca’ Granda. Da quest’ulteriore prova sarà necessario prendere spunto per ripensare il futuro dell’ospedale. E così il maxi progetto del Nuovo Policlinico potrebbe subire degli aggiustamenti, secondo il presidente Marco Giachetti.
Presidente, la storia dell’ospedale è strettamente legata alle epidemie, a partire da quella «di San Carlo» iniziata nel 1576.
«Sì, è uno dei momenti drammatici di Milano in cui la Ca’ Granda è stata importante. Inoltre San Carlo Borromeo fu uno dei primi sostenitori dell’ospedale, a cui donò i suoi averi. Nella nostra galleria dei benefattori è presente un suo ritratto».
Nemmeno un secolo dopo e la città si trova ad affrontare una seconda emergenza.
«La peste del 1630, per intenderci quella descritta da Alessandro Manzoni ne “I promessi sposi”. Come nella peste precedente, in concomitanza con questa epidemia aumentarono le donazioni».
Altro salto in avanti, il vaiolo e il ruolo di Luigi Sacco nel 1800.
«Era primario dell’Ospedale Maggiore, Sacco salvò tante persone grazie al vaccino. Lo iniettò anche a suo figlio per dimostrare che non era pericoloso. Già all’epoca il Policlinico era in prima linea nella ricerca. Ma i momenti storici da raccontare sarebbero molti, dalle guerre alla Spagnola».
Passiamo a oggi, con l’epidemia di coronavirus. L’ultimo bollettino parla di 1.550 persone positive al virus a Milano. Cosa sta facendo la Ca’ Granda?
«Come le altre strutture lombarde, abbiamo rapidamente convertito gli spazi. Normalmente contiamo 900 posti, oggi sono 300 quelli dedicati all’emergenza Covid-19. Un terzo nelle terapie intensive, per i malati gravi che non sono in grado di respirare da soli. I rimanenti sono divisi tra i reparti di terapia sub intensiva, ad alta intensità di cura e di degenza, ma lo sforzo continua e stiamo per allestire un’altra cinquantina di posti. Gli operai, l’ufficio tecnico, i traslocatori non hanno un attimo di riposo».
Dove avete trovato posto per tutti questi malati?
«I padiglioni maggiormente coinvolti sono il Guardia, il Sacco e il De Palo. Quest’ultimo era una struttura di supporto al pronto soccorso vecchio, mentre si stava costruendo il nuovo. Doveva essere demolito, lo abbiamo sfruttato per allestire 15 letti di terapia intensiva».
Con quali risorse?
«In parte con le nostre e poi grazie alle moltissime donazioni di cittadini e aziende, di cui c’è sempre bisogno. Ne ho qui sei faldoni da firmare».
Le attività ordinarie sono state sospese? «Continuano quelle d’emergenza: la dialisi, i trapianti, i parti, la raccolta del sangue... Tutto grazie a uno sforzo enorme del personale. Spesso medici e infermieri si sostituiscono alle famiglie dei malati più gravi».
Da una parte i cantieri di riqualificazione per riconvertire il vecchio ospedale, dall’altra quelli per il Nuovo Policlinico...
«I lavori si sono fermati a causa dell’emergenza, così come negli altri grandi cantieri. Speriamo di poter ripartire presto. Certo, questa situazione ci sta insegnando qualcosa e potrebbe portare a modifiche
del progetto».
A cosa pensa?
«Il Nuovo Policlinico avrà un edificio centrale e due blocchi, quindi un’organizzazione meno dispersiva di quella attuale basata su molti padiglioni. Ma vista questa esperienza, andrà strutturato in modo da poter dividere i flussi di pazienti e creare percorsi separati. Bisognerà ragionare per creare un ospedale flessibile, perché ora stiamo vedendo le difficoltà date dalle strutture rigide».
Il Policlinico ce la farà?
«È passato attraverso mille difficoltà. Spero che sia un segnale positivo in questa situazione».