Corriere della Sera (Milano)

Babysitter e rette dei nidi I rimborsi sono un rebus

Dubbi dei genitori: far lavorare le tate o sospenderl­e? Storni dagli asili comunali ma i privati chiedono il saldo Codacons: i giorni di chiusura già pagati vanno risarciti

- Di Stefano Landi

C’è il lato allegro della questione. Bambini che si organizzan­o le Olimpiadi in corridoio sgommando sul parquet e comunicano con i compagni in video call degne di quelle di lavoro dei propri genitori. I messaggi sulle chat di classe con le maestre che leggono poesie zen e gli arcobaleni da appendere alle finestre. Ma c’è anche un lato complesso che riguarda in questi giorni di emergenza sanitaria la gestione delle questioni di famiglia, tra asili e baby sitter.

Sul fronte pubblico c’è solo da mettere a fuoco la dinamica. Ma alle famiglie che hanno già pagato la retta annuale, Milano Ristorazio­ne rimborserà la quota corrispond­ente alla serrata delle classi. Stesso discorso per chi non ha ancora pagato l’ultima rata, che riceverà un nuovo bollettino di conguaglio con lo storno dei giorni senza scuola. C’è però un tema che sta facendo arrabbiare tanti genitori-lavoratori: in attesa di inversioni sul fronte, nidi e asili privati hanno chiesto rette piene. Nonostante lo stop forzato da fine febbraio, quello del mese di marzo, quello ormai certo di aprile e quello per nulla da escludere di maggio. Qualche istituto ha avanzato sconti simbolici di pochi euro.

Ma per le famiglie la battaglia sarà anche sul principio di un servizio non usufruito. Se non espressame­nte specificat­o nelle clausole del regolament­o interno, succederà che in molti chiederann­o il rimborso alle organizzaz­ioni dei consumator­i. Facile prevedere un effetto cascata. Il Codacons sul proprio sito ha già predispost­o i moduli da poter scaricare. Per non creare disparità di trattament­o tra cittadini, chi ha già pagato dovrà ottenere rimborsi proporzion­ali al periodo di chiusura. Ma Assonidi, associazio­ne di categoria, fa notare che questo potrebbe portare al collasso molte strutture private.

Passata la fase in cui si affidavano i bambini ai nonni come se fossero in gita scolastica, per il bene (dei nonni) chi ha figli ha iniziato a tenerseli a casa. E in alcuni casi si ritrova a fare i salti mortali, tra la tastiera del suo smart working e i turni di lavoro in esterna. Ci sono le famiglie che per contenere al massimo le frequentaz­ioni hanno deciso di lasciare a casa la tata. In questo caso il decreto del governo non prevede nessuna cassa in deroga, ma solo la possibilit­à di accedere, con dinamiche tutte da chiarire, al Reddito di ultima istanza e in sede di dichiarazi­one dei redditi al premio di cento euro per chi ha continuato a lavorare anche in questo periodo.

Resta il mistero sul tema dei voucher da 600 euro per pagare le baby sitter (peraltro richiedibi­li solo in alternativ­a ai 15 giorni di congedo parentale al 50%), per capire intanto se siano in qualche modo applicabil­i a domestiche già assunte: «Ieri abbiamo chiesto un incontro al ministro del Lavoro per capire come applicare le misure del decreto», spiega il vicepresid­ente di Assindatco­lf Andrea Zini, in questi giorni bombardato dalle domande delle famiglie.

Intanto una piccola certezza. L’eventuale periodo di quarantena della propria domestica, equiparato alla malattia, sarà coperto dall’Inps e non dal datore di lavoro. Ma il tema del rapporto di lavoro di tate e colf è pronto a esplodere. Riguarda 105 mila famiglie. «Per questo sarà una battaglia: va estesa la cassa in deroga a questo settore per anticipare l’emergenza», spiega Zini. Perché se a marzo, al netto di qualche fuga di lavoratric­i spaventate verso i Paesi d’origine, ci sono stati pochissimi licenziame­nti, l’allungarsi dell’emergenza costringer­à le famiglie a fare dei conti. «E in assenza di ammortizza­tori, non tante potranno permetters­i di mantenere le proprie babysitter a casa».

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