«Noi, in trincea contro l’Ebola A Lodi studiamo nuove strategie»
La squadra di Medici senza frontiere affianca i colleghi nell’ospedale dell’ex zona rossa. «Uniamo esperienze Qui nasce un modello che sarà esportato all’estero»
«A Codogno, Lodi, Sant’Angelo Lodigiano applichiamo le stesse regole di contenimento dei virus che ho attuato in Africa con Ebola». Braccialetti elettronici per monitorare i pazienti Covid, la riorganizzazione di tutti i reparti, la suddivisione in aree, la disinfezione di chiunque entri o esca dall’ospedale, le regole perché siano rispettate le distanze di sicurezza con accorgimenti tipo i posti numerati — come a teatro — per chi va al Cup o deve ritirare esami. Nel giro di una settimana nell’ospedale in cui tutto è cominciato Medici senza frontiere ha stravolto le regole di approccio all’epidemia, applicando lezioni imparate in tutto il mondo. E a capo dell’équipe della ong — circa 25 operatori sanitari volontari fra medici, infermieri e logisti — che dall’8 marzo sta affiancando l’Asst di Lodi nella gestione dell’emergenza Coronavirus c’è Claudia Lodesani.
Medico, infettivologa, presidente della ong in Italia, Lodesani vanta un’esperienza di 15 anni sul campo: ha combattuto Ebola nel 2014-2015 in Guinea e Liberia, e ancora nel 2018 nella Repubblica Democratica del Congo segnata anche dall’epidemia di morbillo; è reduce da tre mesi ad Haiti («Stiamo portando avanti progetti sulla salute della donna e sulla violenza urbana») ed era appena rientrata in Italia per un periodo di «riposo», virando subito su Lodi per l’emergenza Covid.
Lei e la sua équipe stanno affiancando gli ospedali, a partire da Codogno. Le novità si sono viste subito, fra tutte dotare i pazienti Covid in isolamento domiciliare di braccialetti elettronici (collaborazione con la software house Zucchetti) con un’app per il controllo costante dei parametri vitali, «dalla frequenza cardiaca a quella respiratoria — spiega Claudia Lodesani — per mantenere un monitoraggio costante e dare modo al medico di visitare solo chi ha bisogno di essere curato. Importante intervenire non solo sugli ospedali, ma su tutto il territorio a partire dai medici di base. Più sono formati a occuparsi dei pazienti positivi in sicurezza e più gli ospedali possono essere sgravati».
A Codogno la collaborazione Msf-Asst Lodi ha portato alla riorganizzazione dei reparti: «In questo modo — aggiunge la presidente italiana della ong — siamo riusciti a ricavare 50 nuovi posti letto». Solo il pronto soccorso della cittadina della Bassa, sigillato dopo la scoperta del «paziente uno», non è stato riaperto, «ma è questione di tempo — assicura il direttore sanitario Gabriele Perotti —, il problema è solo trovare il personale. Contavamo sul rientro di una trentina di sanitari dall’isolamento domiciliare ma all’ultimo tampone molti erano ancora positivi». Il connubio Asst-Msf nasce da un modello, quello messo a punto dagli ospedali lodigiani, «che ci stanno chiedendo anche dall’estero», afferma Perotti. «La collaborazione con medici e infermieri lodigiani — racconta Claudia Lodesani — è eccezionale. Noi li formiamo alle regole che seguiamo per le grandi epidemie, loro ci forniscono l’esperienza clinica. Il modo in cui tutti stiamo imparando gli uni dagli altri è lodevole. In Africa sono indietro sulla presa in carico del paziente, ma hanno sistemi meno complessi del nostro. Questa emergenza ci deve insegnare che la salute è un diritto di tutti e i tagli alla sanità sono stati un grande errore che dovremo correggere».