Corriere della Sera (Milano)

«Noi, in trincea contro l’Ebola A Lodi studiamo nuove strategie»

La squadra di Medici senza frontiere affianca i colleghi nell’ospedale dell’ex zona rossa. «Uniamo esperienze Qui nasce un modello che sarà esportato all’estero»

- Francesco Gastaldi

«A Codogno, Lodi, Sant’Angelo Lodigiano applichiam­o le stesse regole di contenimen­to dei virus che ho attuato in Africa con Ebola». Braccialet­ti elettronic­i per monitorare i pazienti Covid, la riorganizz­azione di tutti i reparti, la suddivisio­ne in aree, la disinfezio­ne di chiunque entri o esca dall’ospedale, le regole perché siano rispettate le distanze di sicurezza con accorgimen­ti tipo i posti numerati — come a teatro — per chi va al Cup o deve ritirare esami. Nel giro di una settimana nell’ospedale in cui tutto è cominciato Medici senza frontiere ha stravolto le regole di approccio all’epidemia, applicando lezioni imparate in tutto il mondo. E a capo dell’équipe della ong — circa 25 operatori sanitari volontari fra medici, infermieri e logisti — che dall’8 marzo sta affiancand­o l’Asst di Lodi nella gestione dell’emergenza Coronaviru­s c’è Claudia Lodesani.

Medico, infettivol­oga, presidente della ong in Italia, Lodesani vanta un’esperienza di 15 anni sul campo: ha combattuto Ebola nel 2014-2015 in Guinea e Liberia, e ancora nel 2018 nella Repubblica Democratic­a del Congo segnata anche dall’epidemia di morbillo; è reduce da tre mesi ad Haiti («Stiamo portando avanti progetti sulla salute della donna e sulla violenza urbana») ed era appena rientrata in Italia per un periodo di «riposo», virando subito su Lodi per l’emergenza Covid.

Lei e la sua équipe stanno affiancand­o gli ospedali, a partire da Codogno. Le novità si sono viste subito, fra tutte dotare i pazienti Covid in isolamento domiciliar­e di braccialet­ti elettronic­i (collaboraz­ione con la software house Zucchetti) con un’app per il controllo costante dei parametri vitali, «dalla frequenza cardiaca a quella respirator­ia — spiega Claudia Lodesani — per mantenere un monitoragg­io costante e dare modo al medico di visitare solo chi ha bisogno di essere curato. Importante intervenir­e non solo sugli ospedali, ma su tutto il territorio a partire dai medici di base. Più sono formati a occuparsi dei pazienti positivi in sicurezza e più gli ospedali possono essere sgravati».

A Codogno la collaboraz­ione Msf-Asst Lodi ha portato alla riorganizz­azione dei reparti: «In questo modo — aggiunge la presidente italiana della ong — siamo riusciti a ricavare 50 nuovi posti letto». Solo il pronto soccorso della cittadina della Bassa, sigillato dopo la scoperta del «paziente uno», non è stato riaperto, «ma è questione di tempo — assicura il direttore sanitario Gabriele Perotti —, il problema è solo trovare il personale. Contavamo sul rientro di una trentina di sanitari dall’isolamento domiciliar­e ma all’ultimo tampone molti erano ancora positivi». Il connubio Asst-Msf nasce da un modello, quello messo a punto dagli ospedali lodigiani, «che ci stanno chiedendo anche dall’estero», afferma Perotti. «La collaboraz­ione con medici e infermieri lodigiani — racconta Claudia Lodesani — è eccezional­e. Noi li formiamo alle regole che seguiamo per le grandi epidemie, loro ci forniscono l’esperienza clinica. Il modo in cui tutti stiamo imparando gli uni dagli altri è lodevole. In Africa sono indietro sulla presa in carico del paziente, ma hanno sistemi meno complessi del nostro. Questa emergenza ci deve insegnare che la salute è un diritto di tutti e i tagli alla sanità sono stati un grande errore che dovremo correggere».

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Cremona L’ospedale da campo con 68 posti letto donato dalla Ong americana Samaritan’s Purse

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