L’allarme degli ospedali: stop ai pronto soccorso Il Pirellone: «Resistete»
La richiesta delle strutture allo stremo di personale e letti Ambulanze in lunga attesa prima che il paziente venga accolto
«Non abbiamo posti, non abbiamo lettini, potete portare il paziente in un altro ospedale?». Eppure le ambulanze arrivano lo stesso nei pronto soccorso, nonostante siano in difficoltà. «Stanotte non so quanto tempo si è fermata un’ambulanza, in attesa che trovassimo uno spazio per il malato — racconta un infermiere del Fatebenefratelli —. Non c’erano più lettini nemmeno dalla sala operatoria».
La situazione si ripete identica in tanti altri presidi milanesi e lombardi, allo stremo perché si trovano a dover curare i casi gravi di coronavirus insieme ad altre urgenze (alcune sono state concentrate in determinati hub). La fatica è tale da aver portato le dirigenze di alcuni ospedali a chiedere alla Regione di poter sospendere l’attività di pronto soccorso, come misura estrema, o almeno di evitare l’arrivo di pazienti trasportati dai mezzi del 118. Queste richieste all’assessorato alla Sanità sono ormai frequenti e provengono da moltissime strutture, segno di una difficoltà generalizzata. Normalmente ospedali e Areu, l’azienda regionale di emergenza e urgenza, sono in contatto tramite una piattaforma chiamata Euol. Per le sale operative che gestiscono le richieste d’aiuto dei cittadini è così possibile vedere quanti pazienti sono in attesa, quanti sono già affidati ai medici in ciascuna struttura e con quale livello di gravità. Oltre a ciò si tiene conto delle dimensioni degli ospedali e della situazione del paziente. In base a queste informazioni le ambulanze concordano dove trasportare i malati. È piuttosto comune che si chieda all’Areu di provare ad «alleggerire» il flusso in caso di sovraffollamento del proprio pronto soccorso, purché non si crei un danno agli ammalati. Bisogna tenere conto che i pazienti possono arrivare in ospedale anche autonomamente e gli accessi in questo caso non sono regolabili.
La sospensione dell’attività è invece più rara, ma nell’emergenza coronavirus sono molti gli ospedali che hanno alzato bandiera bianca, tanto da spingere il direttore generale della Sanità Luigi Cajazzo a scrivere a tutte le strutture con pronto soccorso o dea (dipartimento di emergenza urgenza e accettazione). «Tutte le direzioni ospedaliere — si legge nella mail — hanno espresso la massima collaborazione nell’attuare le indicazioni emanate dalla direzione generale Welfare su proposta della Unità di Crisi. Nonostante questo, è ormai giornaliera la richiesta di moltissime strutture di poter sospendere l’attività di pronto soccorso o quantomeno la richiesta ad Areu di evitare l’afflusso di pazienti portati da 118».
La risposta all’appello degli ospedali è: resistete. «Purtroppo sono costretto a rammentare a tutti voi che non è possibile sospendere l’attività di pronto soccorso e vi confermo che laddove possibile Areu già si impegna ad alleggerire l’afflusso nelle strutture in maggiore difficoltà». Si chiede in particolare di continuare ad accogliere anche i pazienti non contagiati dal coronavirus, ma con traumi minori o altri problemi. Per questi Cajazzo invita a valutare la possibilità di accessi diretti in reparto. Da ultimo, si chiede più attenzione alle famiglie dei pazienti: non possono accompagnare i loro cari, ma hanno diritto a essere informati delle loro condizioni di salute. E anche questo è compito degli ospedali.
La risposta Anche in questo momento è un’attività imprescindibile che non si può sospendere