Addio a Gilli, avvocato duro con i potenti e disponibile con i deboli
Per un avvocato penalista la parola è uno strumento fondamentale, forse il più importante di quel bagaglio professionale che, insieme alla conoscenza delle leggi, deve avere con sé ogni volta che fa ingresso in un’aula per affrontare un processo. Quando più di 13 anni fa fu colpito da un ictus cerebrale, Carlo Gilli sopravvisse all’insulto ma perse proprio l’uso della parola rimanendo intrappolato, drammaticamente lucidissimo, in un corpo che non rispondeva più ai suoi ordini e che sarebbe diventato per lui come una gabbia. L’avvocato Gilli è morto a 71 anni martedì a Milano dopo una lunga degenza che lo ha consumato. Non era solo un colto, raffinato e concreto oratore, era anche un ottimo tecnico della professione legale, rispettato e ammirato da giudici e colleghi per la sua preparazione. Professava un’attenzione rigorosa e vigorosa alle regole, al rispetto della funzione del difensore e della terzietà del giudice, temi sui quali non era mai disposto a scendere a compromessi. Carattere forte e determinato, l’avvocato Gilli non mancava di ironia, pronto alla battuta. «Sempre disponibile con i più deboli e aggressivo, quando necessario, con i potenti o i prepotenti, quando ritenevi che non esercitassero pacatamente il loro ruolo», ha scritto rivolgendoglisi direttamente l’avvocato Andrea Soliani, il presidente della Camera penale di Milano che è stato allievo di Gilli seguendo al suo fianco negli anni ’90 importanti processi di Tangentopoli e nei primi anni duemila il caso Parmalat.