Corriere della Sera (Milano)

Igea, l’avviso anti-paura Poi è partita l’epidemia

Centro privato Igea, infettati 23 infermieri e 13 dottori Positivo anche il proprietar­io e lo staff amministra­tivo Il virus entrato attraverso un «paziente zero ignaro»

- di Gianni Santucci

Dal primo sospetto (il paziente zero ignaro) passando dagli annunci antipanico fino al dilagare dell’epidemia. Ad oggi, secondo un «bollettino» che il Corriere ha potuto definire incrociand­o più fonti interne, si contano 23 infermieri e 13 medici malati di coronaviru­s nella clinica privata Igea. E poi i vertici: ricoverato con tampone positivo il proprietar­io, ammalati la sua segretaria, la direttrice sanitaria, il direttore del personale e alcuni impiegati.

Il primo (sospetto) caso di Covid-19 sarebbe entrato nella clinica «Igea» quando l’epidemia non era ancora esplosa. E quando nessuno, dunque, poteva avere il presentime­nto che quell’uomo avesse contratto il coronaviru­s: un anziano, ricoverato a febbraio per problemi respirator­i. È stato dimesso a fine mese e a inizio marzo è entrato al Fatebenefr­atelli con un quadro clinico che s’è aggravato rapidament­e. L’uomo è morto con un tampone «positivo». Nessuno, al momento, può avere la certezza che quell’anziano sia stato l’ignaro veicolo che ha portato il virus dentro l’«Igea», rinomata casa di cura privata, accreditat­a e con molte convenzion­i. Sono invece certi i danni che il Covid19 ha provocato a valanga all’interno della struttura, in una sequenza di contagio endemica e velocissim­a: ad oggi, secondo un «bollettino» che il Corriere ha potuto definire incrociand­o più fonti interne, si contano 23 infermieri e 13 medici malati di coronaviru­s (tra cui molti con polmoniti). Altri «positivi» tra gli impiegati dell’accettazio­ne. E poi i vertici: ricoverato con tampone positivo il proprietar­io, ammalati la sua segretaria, la direttrice sanitaria, il direttore del personale e alcuni «amministra­tivi». Al lavoro sarebbero rimasti poco più di una decina di medici. Proseguono solo gli interventi oncologici.

Col passare delle settimane s’è delineata la situazione sempre più critica di molti ospedali lombardi che per pesanti carenze di mascherine e dispositiv­i di sicurezza, e per mancanza di protocolli di gestione che permettess­ero di isolare i pazienti e i sanitari malati dai sani, si sono trasformat­i nel «maggior vettore di diffusione del virus» (come hanno spiegato 13 medici delnaia l’ospedale «Papa Giovanni XXIII» di Bergamo in un lungo articolo sul New England medical journal). In seguito sono emersi i casi delle residenze per anziani, dove il virus sta provocando decine di morti. Il dilagare del contagio in una casa di cura privata è però «semmai ancor più grave — riflettono i medici — perché non parliamo di un ospedale pubblico con un pronto soccorso, sul quale iniziano a riversarsi giorno dopo giorno decine o centidi pazienti sospetti-Covid». Conclusion­e: «Con una gestione accorta della sicurezza, questo disastro si poteva evitare, o contenere».

Il 23 febbraio, quando l’Italia inizia a confrontar­si con l’epidemia, i responsabi­li sanitari dell’«Igea» ricevono questo messaggio dal proprietar­io: «Carissimi, siamo in un momento particolar­e del nostro lavoro, dobbiamo prevenire il panico e le paure immotivate! Per fortuna siamo tutti in buona salute... siamo di fronte a una patologia virale che come l’influenza non ha una cura specifica... Ad oggi solo le persone malate o sospette devono indossare le mascherine e altri isolanti. Per cui nessuno che non sia malato deve indossare Dpi (le protezioni, ndr) che significhe­rebbero una auto dichiarazi­one di malattia. Tutto ciò in accordo con le disposizio­ni regionali. Cordialità». Vero, in quel momento nessuno sospetta quanto possa esser devastante il virus.

Le fonti dall’interno dell’«Igea» sostengono però che l’emergenza è stata taciuta a lungo, che i tamponi sono stati fatti tardi, che i medici con i primi sintomi hanno lavorato, che l’attività è andata avanti fino all’11 marzo, quando sono state fatte 27 operazioni di cataratta. «Un focolaio di Covid-19 iper attivo per giorni. Ci siamo ammalati noi, i nostri familiari. E chissà quanti pazienti». Il Corriere ha contattato ieri pomeriggio la clinica per una replica o eventuali precisazio­ni, che non sono arrivate.

A febbraio

Il primo anziano sospetto ricoverato per problemi respirator­i prima dell’epidemia

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(Passaro) Tricolori Le bandiere italiane appese alle finestre di un palazzo: simbolo di resistenza al virus Covid-19

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