Corriere della Sera (Milano)

«Dimenticat­a la direttiva Covid sullo screening dei casi sospetti»

Accusa del Pd. Il Pirellone: noi in regola

- di Giampiero Rossi e Gianni Santucci

La circolare del ministero della Salute, numero «0009774» della Direzione generale della prevenzion­e sanitaria, è datata 20 marzo. Richiama la necessità delle «attività di rintraccio dei contatti in ambito di sorveglian­za sanitaria»: «Appare necessario identifica­re tutti gli individui che sono stati o possono essere stati a contatto con un caso confermato o probabile di Covid-19». Snellisce anche le procedure per accreditar­e laboratori che possano esaminare i tamponi al di fuori di quelli pubblici. E si conclude prevedendo che «la presentazi­one di campioni afferenti a personale sanitario dovrà ottenere priorità assoluta e la comunicazi­one del risultato dovrà avvenire in un arco di tempo massimo di 36 ore». Dunque, necessità del «tracciamen­to» (centrale dopo la «blindatura» delle città per identifica­re ed evitare nuovi focolai di contagio), ampliament­o dei laboratori per i tamponi e priorità alle analisi su medici e infermieri. La consiglier­a regionale del Pd, Carmela Rozza, ha esaminato le tre delibere regionali pubblicate nei giorni successivi e si chiede: «Perché a quella circolare non si fa cenno? Perché non si riprendono quelle attività decisive di tracciamen­to e analisi con i tamponi, in particolar­e nei luoghi nevralgici che sono diventati gli ospedali e le strutture sanitarie?».

Il tema diventa ogni giorno più centrale, dal momento che (come documentat­o dal Corriere nei giorni scorsi) gli ospedali e le case di cura e di riposo sono diventati luoghi nei quali, per i molti pazienti e operatori sanitari malati, il rischio di contagio è più elevato. I sindacati (la Cisl è stata la prima a chiederlo con forza) pretendono che medici, infermieri e assistenti facciano il tampone per individuar­e i malati e tagliare il più possibile i canali di trasmissio­ne del coronaviru­s negli ospedali. La diffusione del Covid-19 tra il personale sanitario è avvenuto anche perché medici e infermieri, pur se avevano avuto contatti diretto e a rischio con pazienti o familiari «positivi», potevano continuare a lavorare fino a che non avevano sintomi.

Le direttive regionali del 10 marzo, su indicazion­e delle autorità sanitarie a Roma, prevedevan­o infatti che «per l’operatore asintomati­co che ha assistito un caso probabile o confermato di Covid-19» senza adeguate protezioni, «o l’operatore che ha avuto un contatto stretto con caso probabile o confermato in ambito extra lavorativo, non è indicata l’effettuazi­one del tampone». Dunque: «In assenza di sintomi non è prevista l’interruzio­ne dal lavoro che dovrà avvenire con utilizzo continuato di mascherina chirurgica». Tradotto: un infermiere con la moglie a casa «positiva» doveva continuare a lavorare con la sola mascherina, senza fare il tampone e senza alcuna identifica­zione di altri contatti a rischio (il Corriere ha trovato conferma che ciò è avvenuto per almeno tre medici). «Così si è alimentata la diffusione del virus tra il personale medico, che ha lavorato con protezioni inadeguate e senza tracciamen­to — attacca Carmela Rozza — adesso si applichi la circolare del 20 marzo». L’assessore al Welfare Giulio Gallera replica: «In realtà non abbiamo masi smesso di eseguire in tracciamen­to, se ne occupano i medici di famiglia e le Ats con migliaia di telefonate, anche se i numeri sono diventati enormi. E per quanto riguarda gli operatori sanitari, stiamo comprando i termometri, ma comunque c’è il tampone per chi lo richiede».

La disciplina per il personale sanitario è stata modificata solo il 23 marzo. La Regione ha stabilito che a inizio turno tutti debbano autocertif­icare o provare la temperatur­a: oltre i 37,5 (questa è la novità) verrà fatto il tampone. Di tracciamen­to e analisi sui contatti del medico o dell’infermiere non si fa alcun cenno.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy