Corriere della Sera (Milano)

Addio a Fossati, il manager che amava Milano

Dirigente Rcs, docente, appassiona­to di cucina. Raccontava l’anima della città

- Isidoro Trovato

Lo incontravi e ti chiedeva subito come va al Corriere. Perché questa era casa sua. Gianni Fossati in Rcs è stato dirigente e manager per decenni, ma da via Solferino non è mai andato via.

A prendersel­o, invece, è stato il Covid 19, rapido e spietato, in meno di una settimana. Il coronaviru­s ha colto alla sprovvista noi e lui, sorprenden­dolo probabilme­nte in una delle sue incursioni bergamasch­e, in quelle valli che adorava, studiava e girava in lungo e in largo.

Gli piaceva mantenere contatti con i dirigenti e i giornalist­i, lui stesso era diventato un collega (curava la comunicazi­one del corpo consolare di Milano) e per anni è stato docente a contratto dell’Alta scuola in Media e comunicazi­one dell’Università Cattolica di Milano. Non si fermava mai ed era sempre pronto a metterti a disposizio­ne uno dei suoi contatti che potesse darti una mano per un pezzo o un’inchiesta che stavi preparando. Senza avarizia, senza risparmiar­si. Li pescava nel serbatoio delle sue conoscenze, figlie di anni di lavoro alla Rcs oppure come «past president» del Rotary club di Milano est.

Lui, che era nato a Massa, conosceva il territorio e l’anima di Milano. Sapeva spiegarti che Milano è come una donna complessa, che non si ama al primo sguardo ma di cui ti innamori perdutamen­te se impari a capirla. Gianni non stava mai fermo nemmeno con la testa e con gli interessi: era un grande appassiona­to di cucina (soprattutt­o meneghina), sapeva spiegarti dove e cosa mangiare da Milano all’Oltrepò pavese, raccontand­oti aneddoti e ricordi che stanno dietro ogni piatto, ogni osteria. Per questo era diventato vice presidente vicario dell’Accademia italiana della cucina, fondata dal giornalist­a e saggista del Corriere, Orio Vergani, nel 1953. E portava avanti il premio (intitolato proprio a Vergani) con puntuale perseveran­za. Quindi, ancora una volta tutto riconduce a via Solferino.

«Il mio Corriere» era il suo modo di aprire il libro dei ricordi: il terrorismo, l’omicidio Tobagi, il periodo buio con l’ombra della P2, Tangentopo­li. Aveva vissuto tutto in prima linea dai corridoi di via Solferino e ti raccontava il suo punto di vista inedito e di prima mano. Sapeva riannodare i fili della storia del giornalism­o italiano, che hanno portato il Corriere a diventare la testata di riferiment­o.

Oggi basta aprire la sua pagina Facebook per vedere una rassegna stampa di articoli, editoriali e commenti del Corriere segnalati con l’orgoglio del senso di appartenen­za.

È stato ricevuto dal presidente Sergio Mattarella e insignito della carica di Grande Ufficiale della Repubblica italiana ma non lo sapeva quasi nessuno e non se ne faceva mai vanto. Nel suo profilo Facebook scriveva: «Avverto il senso della mia insufficie­nza se penso alle persone che ho incontrato nella mia vita». E invece oggi, caro Gianni, nessuno tra coloro che ti hanno conosciuto, potrà fare a meno di piangere la tua assenza.

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